Ansaldo Energia corre verso la Borsa

A Genova, in particolare, ma anche altrove, è stata accolta con soddisfazione la notizia, pubblicata da Mf, che la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), braccio finanziario del Governo, ha deciso di accelerare il processo finalizzato alla quotazione di Ansaldo Energia in Borsa. Da mesi, Piazza Affari è in crescita e il vertice della Cdp, partecipata da numerose fondazioni bancarie, vuole approfittarne, per valorizzare al meglio la quota di Ansaldo Energia destinata a finire sul mercato, mantenendo, però, il controllo della società genovese.
Attualmente, la Cdp, guidata dal duo Claudio Costamagna e Fabio Gallia (rispettivamente presidente e amministratore delegato), possiede il 60% di Ansaldo Energia, avendone rilevato da poco il 15% da Leonardo, l'ex Finmeccanica, pagandolo 117 milioni. Il restante 40% fa capo al colosso cinese Shanghai Electric, che ha comprato questa quota per 400 milioni nel 2014 e, a sua volta, venderebbe una parte delle sue azioni.
Ansaldo Energia è un motivo d'orgoglio di Genova e dell'Italia. Attiva nel settore energetico, è tra i principali produttori di centrali elettriche al mondo: fa centrali termiche, geotermiche, combinate e nucleari; turbine a gas e a vapore, oltre che termogeneratori. Suoi impianti si trovano in un'ottantina di Paesi. Conta circa 2.700 dipendenti. Nel 2016 ha fatturato 1,25 miliardi e ha conseguito un utile netto di oltre 60 milioni. A fine anno mostrava un patrimonio netto di poco inferiore ai 600 milioni e aveva un portafoglio ordini di 5,34 miliardi.
Pochi giorni fa, Ansaldo Energia ha rilevato il 10% di Ac Boilers, società controllata da Sofinter. Con questa operazione, Ansaldo Energia sbarca nel mercato delle caldaie di grande taglia per impianti di produzione di vapore ed energia.

Presidente di Ansaldo Energia è Giuseppe Zampini, che, recentemente, ha lasciato a Filippo Abbà il timone operativo dell'impresa della quale è stato straordinario motore di sviluppo, fin dal 2001 quando aveva assunto l'incarico di amministratore delegato. Nato a Belluno nel 1946, laurea in Ingegneria nucleare all'Università di Pisa, Giuseppe Zampini ha iniziato la sua carriera alla Nira di Genova (gruppo Ansaldo). Dal poco più di due anni è anche presidente di Confindustria Liguria, dopo essere stato al vertice dell'associazione degli industriali genovesi. Fra l'altro, è presidente dell'Ospedale Galliera ed è stato consigliere di amministrazione di Banca Carige.
Giuseppe Zampini, presidente Ansaldo Energia

Fondazioni&banche, due casi emblematici

Che il protocollo d'intesa tra ministero dell'Economia e delle Finanze (Mef) da una parte e l'Acri, l'associazione nazionale delle fondazioni di origine bancaria e delle Casse di risparmio, dall'altra, avrebbe creato un grosso problema, lo avevano detto, subito, pochissimi osservatori del sistema creditizio e finanziario. Stranamente.
Il testo, firmato dal ministro Pier Carlo Padoan e dal presidentissimo Giuseppe Guzzetti, conteneva, infatti, una bomba a orologeria con fortissimo potenziale, che, i più non hanno considerato, forse per non urtare la suscettibilità di Guzzetti e di qualche alto direttore ministeriale, forse per evitare di avere prevedibili difficoltà interne, forse per superficialità o, forse, pensando che, essendo in Italia, il tempo avrebbe provveduto a disinnescare la bomba, automaticamente.
La bomba consiste nell'impegno di tutte le fondazioni firmatarie del protocollo a ridurre il valore della loro partecipazione nella banca conferitaria, cioè nell'istituto creditizio dal quale hanno avuto origine, 25 anni fa, entro il 33% del valore complessivo del loro attivo patrimoniale. Limite da raggiungere entro tre anni dalla firma, quindi entro il 22 aprile del 2018, se la banca conferitaria è quotata in Borsa ed entro il 22 aprile del 2020 se, invece, non lo è.
In ogni caso, il risultato è identico: numerose fondazioni sono costrette a perdere il controllo della “loro” banca o a non esserne più l'azionista di riferimento. Fra queste spicca la Compagnia di San Paolo, la seconda maggiore fondazione italiana per patrimonio. L'ente torinese di corso Vittorio Emanuele II, proprio ieri, ha comunicato di aver ceduto 150 milioni di azioni di Intesa Sanpaolo, pari allo 0,95% del capitale del colosso finanziario, riducendone così all'8,2% la sua quota, destinata però a calare ancora di quale punto.
E' prevedibile, perciò, che nella primavera prossima, la Compagnia di San Paolo non sarà più il singolo maggior azionista di Intesa San Paolo. Infatti, già ora il fondo americano BlackRock ha un po' più del 5% e la Fondazione Cariplo il 4,836%. Non solo: questi due soci possono aumentare la loro quota, a piacimento, non avendo alcun vincolo contrario.
Naturalmente, il mercato non l'ha presa bene: l'azione è scesa, immediatamente. E ancora meno bene l'ha presa Carlo Messina, l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo. Messina ha fortemente criticato la norma del protocollo d'intesa Mef-Acri, con le stesse motivazioni espresse dai rari e ignorati critici della prima ora: dal ruolo fondamentale delle buone fondazioni, quelle gestite bene, per lo sviluppo delle banche conferitarie, all'obbligo irragionevole di cedere, a sconto, partecipazioni molto redditizie, consolidate e ben conosciuto, per investire in altri strumenti finanziari dal risultato più ignoto.
Il tutto in nome della diversificazione, come se questa fosse la panacea di ogni male, piuttosto che dell'influenza politica sulle nomine degli amministratori (dimenticando il divieto legale del vincolo di mandato e, fra l'altro, di interferenze degli azionisti sugli Organi della Banca); oltre che per evitare il ripetersi di casi come quelli di Monte dei Paschi, Carige e altre banche. Non tendendo presente che questi casi sono conseguenti alla mala gestione dei vertici delle banche disastrate, non delle loro fondazioni, se non quando queste erano complici, corree, come però può essere qualsiasi altro azionista di controllo o di riferimento.
All'inizio della loro vita travagliata, le fondazioni avevano l'obbligo di mantenere la maggioranza delle loro banche, poi, le maggiori, sono state obbligate a cederne il controllo. Comunque, le fondazioni, sempre, hanno sostenuto le loro conferitarie, anche sottoscrivendo onerosi aumenti di capitale, tanto da meritarsi i ripetuti elogi da parte dell'allora governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che ha riconosciuto il merito dei salvataggi, della creazione di campioni nazionali e di freno alle invasioni straniere.
Ed eccoci al secondo caso emblematico, quello di Fossano. La Fondazione Cr Fossano, che è ancora azionista di maggioranza assoluta della locale Cassa di Risparmio, legalmente, perché è partita con un capitale inferiore ai 200 milioni, non ha firmato il protocollo Mef-Acri, nonostante il suo presidente di allora, Antonio Miglio, fosse addirittura vice presidente dell'Acri e uno dei principali cooperatori di Guzzetti.
La Fondazione Cr Fossano vuole continuare ad assicurarne l'indipendenza della sua banca, ritenuta strategica per l'economia del territorio originario e la sua comunità. Lo ha ribadito, l'altro giorno, il nuovo presidente della Fondazione, Gianfranco Mondino, respingendo anche l'ipotesi di un'aggregazione della Fondazione con altre cuneesi.
Però, quella di Fossano resta una questione aperta. Non avendo firmato il famigerato Protocollo, rischia “soltanto” l'espulsione dall'Acri o, essendo comunque sottoposta alla Vigilanza del Mef, potrebbe trovarsi commissariata, se non adempirà alla norma del calo del valore della partecipazione nella Cassa di Risparmio  presieduta da Giuseppe Ghisolfi entro il 33% dell'attivo totale, prima del 22 aprile 2020? O riuscirà a rispettare il limite, mantenendo almeno la condizione di azionista di riferimento, facendo in modo che nessuno possa avere una quota superiore alla sua, magari diluendo al massimo il capitale e impedendo patti di sindacato? (ma Banca d'Italia e Mef autorizzerebbero una soluzione simile?).
La vicenda Fossano è molto interessante e significativa, anche perché – come ha ricordato Gianfranco Mondino – la Cassa di Risparmio e la sua fondazione hanno sempre chiuso il bilancio in attivo e hanno raddoppiato il patrimonio. A ulteriore conferma che non sono le dimensioni a garantire redditività, competitività, solidità e sviluppo; ma la buona amministrazione.
Infine, la Fondazione Carige, della quale se ne erano perse le tracce. A farla riemergere dall'oblio è Vittorio Malacalza, azionista di riferimento della travagliata Banca Carige, il quale ha preannunciato che non rinnoverà il patto parasociale con l'ente genovese di via Chiossone. Alla scadenza dell'intesa, l'8 maggio prossimo, ognuno per sé. E la Fondazione, che pare abbia ormai solo più lo zero virgola di Carige, perderà anche il diritto di nominare un suo designato nel Consiglio di amministrazione di quella che è stata la “sua” banca.
Da oltre un paio d'anni, della Fondazione Carige non si sentiva più parlare. C'è chi si ricorda di un accordo con la Compagnia di San Paolo, venuta generosamente in soccorso. Nient'altro. Attività?Presentazioni? Comunicati? Boh. Però, ora, grazie a Malacalza, sappiamo che Fondazione Carige è viva. Non si sa, invece, cosa faccia. Ma questo è un altro discorso. 
Francesco Profumo, presidente Compagnia di San Paolo

Giuseppe Ghisolfi, presidente CR Fossano

Bim sotto l'euro, nuovo minimo storico

Chi credeva che l'azione della Banca Intermobiliare (Bim) avesse toccato il fondo, l'ultimo giorno di agosto, quando Piazza Affari l'ha valutata 1 euro tondo tondo, deve ricredersi. Oggi, 10 ottobre, il titolo Bim è precipitato a 0,98 centesimi (-7,11% rispetto a ieri), facendo segnare così il nuovo minimo storico. La capitalizzazione è scesa a poco più di 153 milioni, cifra inferiore al capitale sociale che è di 156,2 milioni.
La nuova caduta, comunque, ha sorpreso. Anche perché viene data in dirittura d'arrivo la vendita del 71,41% del capitale dell'istituto attualmente in possesso dei commissari liquidatori di Veneto Banca (il 9,04% appartiene ancora a Pietro D'Aguì, che faceva parte del gruppo di controllo e che è stato ai vertici della Bim per lungo tempo).
I liquidatori di Veneto Banca, infatti, hanno accordato ad Attestor Capital la negoziazione della transazione, in esclusiva, fino al 20 di questo mese. Attestor Capital, fondo d'investimento che ha già fatto operazioni analoghe con altre banche, all'estero, è stato preferito a Brm Barents, l'altro contendente che era rimasto in gara, dopo una prima selezione.
La Banca Intermobiliare, sede e direzione a Torino, specializzata nel settore private, dopo alcuni ribaltamenti, ha al suo vertice Maurizio Lauri (presidente), Giorgio Girelli, consigliere con incarichi e Stefano Grassi, direttore generale. Opera da oltre trent'anni. Nel 2009 è entrata nell'orbita di Veneto Banca, che, due anni dopo, ne ha acquisito il controllo.

Al 30 giugno scorso, presentava una raccolta complessiva pari a 8,7 miliardi e un Cet1 del 10,74%. Nel primo semestre di quest'anno ha avuto una perdita consolidata di 24,9 milioni, a fronte dei 14,7 milioni della prima parte del 2016.

Giornalisti, una scuola per direttori

Dicono che sarà Alberto Sinigaglia il presidente dell'Ordine dei Giornalisti del Piemonte (poco meno di 7.200 iscritti, tra professionisti e pubblicisti). La conferma della sua elezione è attesa lunedì 10 ottobre, quando, per la prima volta, si riunirà il nuovo Consiglio, appena uscito dalle urne. Per Alberto Sinigaglia, 69 anni, entrato alla Stampa di Torino 47 anni fa, chiamato dal direttore Alberto Ronchey che aveva notato le sue collaborazioni a Epoca, Panorama e Il Mondo, sarà il terzo mandato da presidente. E' destinato a mantenere la carica fino al 2020.
Nel suo ultimo triennio – ha anticipato che non accetterà un'altra candidatura – aspira a istituire a Torino la prima scuola europea per direttori e amministratori di giornali, che sono prodotti sì, ma speciali. Un obiettivo che ritiene raggiungibile e che considera importantissimo per il rilancio della professione e del settore, entrambi in crisi da anni. Crisi che, per essere superata, richiede giornalisti più preparati, più competenti,con maggiori possibilità di accrescere e coltivare la loro cultura, meglio retribuiti per i loro meriti lavorativi e per la funzione strategica che svolgono,
Alberto Sinigaglia, nel 1975, ha guidato il gruppo fondatore di Tuttolibri, supplemento settimanale di cultura pubblicato da la Stampa, della quale è poi diventato responsabile dei progetti editoriali e della quale è ancora collaboratore, oltre che presidente del Gruppo Anziani. Fra l'altro, ha scritto e condotto programmi radiofonici e televisivi per la Rai, quali Addio al Novecento, Fatti di famiglia, Quarto Potere e Vent'anni al Duemila. Attualmente, è anche presidente della Fondazione Filippo Burzio e del comitato scientifico della Fondazione Cesare Pavese, che ha sede a Santo Stefano Belbo, nel Cuneese.
Oltre che da Alberto Sinigaglia, che ha avuto il maggior numero di voti, il nuovo Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti del Piemonte è formato da Maria Teresa Martinengo, Andrea Caglieris, Giorgio Levi, Mario Bosonetto, Chiara Briante (professionisti), Ezio Ercole, Franca Giusti e Franco Leonetti (pubblicisti).
Per quanto riguarda l'Ordine dei Giornalisti della Valle d'Aosta, sono stati eletti i professionisti Tiziano Trevisan (presidente uscente), Laura Zarfati, Sonia Charles, Thierry Pronesti, Denis Falconieri, Fabrizio Perosillo e i pubblicisti Pier Paolo Civelli, Bruno Fracasso e Simonetta Padalino.
Infine l'Ordine ligure: del nuovo Consiglio fanno parte Licia Casali, Stefano Picasso, Filippo Paganini (presidente uscente), Nadia Campini, Fabrizio Cerignale ed Emanuele Rossi (professionisti), Franca Po, Michela De Leo e Loredana Papini (pubblicisti).

Quali consiglieri dell'Ordine nazionale, i giornalisti del Piemonte hanno eletto i professionisti Beppe Gandolfo e Cristina Caccia e il pubblicista Gianni Stornello. Aosta ha indicato il professionista Enrico Romagnoli e il pubblicista Moreno Vignolini; Genova il professionista Andrea Ferro e il pubblicista Dino Frambati.
Alberto Sinigaglia, Ordine del Piemonte

La moria delle partite Iva

Moria di partite Iva, nel Nord Ovest più che nel resto d'Italia. Dal 2008 al 30 giugno appena passato, lo stock dei lavoratori autonomi (piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, liberi professionisti, lavoratori in proprio, coadiuvanti, soci di cooperativa) è diminuito di quasi 62.000 unità nelle tre regioni del Nord Ovest e di 297.500 in tutto il Paese.
In particolare, il numero degli autonomi è sceso a 152.500 (dai 170.300 del 2008) in Liguria e a 415.800 (dai 459.900 del 2008) in Piemonte e Valle d'Aosta, considerate insieme. In Liguria il calo è stato del 10,4% e del 9,6% in Piemonte più Valle d'Aosta.
La riduzione del Nord Ovest è risultata del 9,8%, a fronte della media italiana del 5,5%. Nel nostro Paese, infatti, le partite Iva correlate agli autonomi si sono ridotte da poco più di 5,421 milioni del 2008 a poco meno di 5,124 milioni. E questo mentre, nello stesso periodo, il numero dei lavoratori dipendenti è salito da oltre 17,213 milioni a 17,516 milioni, circa 303.000 in più (+1,8%).
A rilevare questi fenomeni è stato l'ufficio studi della Cgia di Mestre, l'associazione locale degli artigiani e delle piccole imprese, basandosi su dati Istat.
“I dati ci dicono che la crisi ha colpito soprattutto le famiglie del cosiddetto popolo delle partire Iva, ovvero dei piccoli imprenditori, degli artigiani, dei commercianti, dei liberi professionisti e dei soci di cooperative” hanno commentato dalla Cgia di Mestre, fra l'altro, rilevandone la crescita del tasso dei soggetti a rischio di povertà.
“Fino a una decina d'anni fa – è stato scritto dalla Cgia veneta – aprire una partita Iva era il raggiungimento di un sogno: un vero status symbol, perché l'opinione pubblica collocava questo neo-imprenditore tra le classi socio-economiche più elevate. Oggi, invece, non è più così: per un giovane, in particolar modo, l'apertura della partita Iva è spesso vissuta come un ripiego o, peggio ancora, come un espediente, che un committente gli impone per evitare di assumerlo come dipendente”.
Al 30 giugno appena passato, le tre regioni con più autonomi erano la Lombardia (884.000), il Lazio (466.200) e il Veneto (463.000).

La nuova "lezione" di Camillo Venesio

Ormai, forse poco o nulla infastidisce le persone ragionevoli e responsabili quanto i continui moniti, gli irrefrenabili richiami a quello che è necessario, quando non doveroso, fare. Naturalmente, sempre riferito agli altri. Sono sempre altri soggetti che devono fare, intervenire, rimediare; a partire da politici, amministratori pubblici, legislatori, magistrati, enti … Tutti, o quasi, a dire cosa bisogna fare e, invece, pochissimi che dicono cosa loro hanno fatto o stanno facendo, concretamente, per risolvere il problema denunciato, per superare le difficoltà, per restare competitivi, per svilupparsi, piuttosto che per contribuire al miglioramento dell'economia e delle condizioni generali di una comunità locale e del Paese.
Per questo, è risultato particolarmente apprezzabile ed apprezzato l'intervento del banchiere Camillo Venesio, sabato 7 ottobre, alla presentazione della diciottesima edizione del Rapporto “Giorgio Rota” (indimenticabile e rimpianto economista torinese), promosso dal Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi e sostenuto, insieme, dalla Banca del Piemonte e dalla Compagnia di San Paolo. Rapporto dedicato, come i precedenti, alla situazione di Torino, ricco di dati e confronti, rigoroso, affidabile, ispiratore di riflessioni e di provvedimenti.
Venesio, infatti, ha detto che “invece di chiedere soltanto ad altri di fare qualcosa, ho analizzato la mia attività di imprenditore e l'impresa che dirigo (la Banca del Piemonte, indipendente da 105 anni, tra le più solide in Europa), chiedendomi che cosa abbiamo fatto per l'impresa e, quindi, per il tessuto economico della città”.
Ha subito risposto: “Abbiamo superato, con successo, nell'ultimo decennio, tre forti shock: crisi economica, tecnologico, normativo (uno tsunami), cambiando completamente modello di business, investendo tanto in nuove tecnologie e professionalità (assumendo statistici, matematici, ingegneri gestionali, moderni informatici, gestori di nuovi rischi, consulenti, analisti di processi, operatori di conctact center … al posto di operatori di sportello e cassieri). Inoltre, abbiamo fatto pesanti innovazioni di processo e lanciato nuovi prodotti”.
“Nel contempo – ha aggiunto – abbiamo avviato un passaggio generazionale. Il tutto con impegno, sacrificio, ricominciando quando sbagliavamo e senza alcun sostegno da Industria 4.0, che non vale per le banche, beneficiarie, come tutti, del credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo”.
Venesio, amministratore delegato e direttore generale di Banca del Piemonte, interamente posseduta dalla sua famiglia e con bilanci storicamente in attivo, ha ricordato che tanti altri imprenditori, anche a Torino, hanno fatto lo stesso, evitando di piangersi addosso e di godersi i risparmi messi da parte delle generazioni precedenti.

E questo spiega perché, nonostante tutto, Torino sopravvive. Non tutti i soggetti in causa, però, hanno fatto e fanno la loro parte. E questo spiega perché Torino ha perso colpi, si è impoverita e indebolita.
Camillo Venesio, n.1 Banca del Piemonte

Alla ribalta della settimana

PIETRO SELLA
La partecipazione di Pier Carlo Padoan, ministro dell'Economia e delle Finanze, all'inaugurazione del “Milan Fintech District”, promosso da Sella.Lab, insieme con Copernico, è stata un indiscutibile riconoscimento del valore della nuova iniziativa di Pietro Sella, dal 2006 amministratore delegato e direttore generale di Banca Sella Holding, l'istituto a capo dell'omonimo gruppo imprenditoriale biellese da sempre controllato dalla famiglia del fondatore e, da tempo, guidato da Maurizio Sella, pluripresidente, esponente di spicco del credito e della finanza (fra l'altro, è stato presidente dell'Abi, l'associazione italiana delle banche).
Pietro Sella, ingegnere, 49 anni, figlio del presidente Maurizio e fratello di Federico, ha voluto il Fintech District di Milano, forte anche dell'esperienza più che positiva di Sella.Lab, la piattaforma di innovazione del Gruppo Sella per start up e aziende corporate, nata nel 2013 e collocata all'interno dello storico Lanificio Maurizio Sella, distretto laniero risalente al 1800.
Il “Milan Fintech District”, che ha sede in un palazzo del quartiere Isola, nel cuore del distretto finanziario del capoluogo lombardo, è un hub in cui i principali operatori fintech attivi nel nostro Paese hanno la possibilità di lavorare insieme per favorire la nascita di collaborazioni industriali e commerciali, attrarre nuovi investimenti e dare impulso allo sviluppo, sulla scia di proficue esperienze internazionali come Level39 a Londra e Station F a Parigi.
Oltre a importanti partner che offrono servizi e supporto, sono già più di 30 le aziende e start up fintech che hanno aderito all'operazione di Pietro Sella, il quale ricopre incarichi in diverse società del Gruppo, fra le quali Banca Sella e Banca Patrimoni Sella & C, della quale è amministratore delegato e direttore generale il fratello Federico.
Pietro Sella, ad e dg Banca Sella Holding
ALBERTO DEL NOCE
“Giustizia e legalità”. E' il tema che l'avvocato Alberto Del Noce ha trattato, con la maestria di cui è dotato, nel più recente degli incontri organizzati dal “Dumse da fé”, il consesso subalpino promosso e coordinato dal commercialista torinese Piero Gola, il quale, con grande passione e infaticabilmente, riunisce, ogni due lunedì, un qualificato gruppo di personalità cittadine, di diverse professioni ed esperienze, ad ascoltare un relatore di rilievo su un tema d'attualità, poi oggetto di discussione.
La realtà della Giustizia italiana, la verità sostanziale e quella processuale, la durata dei processi e i suoi costi per lo Stato, la quantità e la qualità delle leggi, i quasi 4 milioni di procedimenti civili pendenti, sono soltanto alcuni dei punti analizzati da Alberto Del Noce, il cui intervento è stato particolarmente apprezzato anche per l'efficacia della rappresentazione delle condizioni di una funzione e di un sistema che sono basilari per il Paese.
Figlio d'arte (il padre Carlo ha fondato l'omonimo studio legale negli anni 70, dopo un'attività ultratrentennale nell'Istituto Bancario San Paolo), Alberto Del Noce, classe 1954, sposato, due figli, laurea in Giurisprudenza sotto la Mole e studi anche alla University of Pennsylvania Law School, fra l'altro è presidente della Camera Civile del Piemonte e della Valle d'Aosta, associazione professionale nata 30 anni fa, mediatore presso lo specifico Organismo dell'Ordine di Torino, docente in materia per i corsi di formazione e aggiornamento di Unioncamere, membro del Consiglio della Camera arbitrale del Piemonte, presieduta da Carlo Pavesio.
Iscritto all'Ordine degli Avvocati dal 1982, Alberto Del Noce è specializzato in diritto civile e commerciale, fallimentare, bancario e consumo (è anche Cultore di diritto comparato dei consumi alla Scuola di management alla facoltà di Economia e commercio).
Alberto Del Noce, avvocato
TARCISIO MAZZEO
E' Tarcisio Mazzeo il giornalista scelto per guidare la redazione piemontese della Rai, al posto di Carlo de Blasio. Abitante ad Arenzano da oltre trent'anni, ma originario di Campolattaro (Benevento), laureato con lode in Sociologia alla facoltà di Scienze Politiche di Genova, Tarcisio Mazzeo è giornalista professionista dal 1982. Ha iniziato la carriera al Lavoro di Genova, che ha poi lasciato, nel 1986, per passare alla redazione economico-finanziaria del Giorno, a Milano. Da qui è riapprodato alla Superba.
In Rai ha svolto diverse mansioni: è stato inviato, facendo servizi un po' da tutto il mondo, ha raccontato numerose edizioni del Giro d'Italia alla radio (memorabile resta una sua radiocronaca della tappa delle Tre Cime di Lavaredo), è stato un protagonista di “Tutto il calcio minuto per minuto”; ha anche seguito il Festival della Canzone di Sanremo. Ultimo incarico prima di quello torinese, caporedattore della Tgr Liguria.
Grandissima passione per lo sport, non solo raccontato ma anche praticato (fra l'altro, da giovane ha fatto pugilato), Terzio Mazzeo, ancora nel febbraio scorso, in occasione del Trofeo Laigueglia di ciclismo, ha ricevuto il premio “Bastione d'oro”.
Tarcisio Mazzei, responsabile redazione piemontese Rai
LUCA BIZZARRI
Comici leader politici, comici opinion leader, comici editorialisti … Comici ora anche a capo di istituzioni culturali. E' il caso del genovese Luca Bizzarri, neo presidente della Fondazione Palazzo Ducale, ente cittadino di prestigio internazionale, promotore e catalizzatore di grandi eventi culturali e artistici ospitati nella sua storica sede, nel pieno centro della Superba, tra piazza De Ferrari e la cattedrale di San Lorenzo.
Luca Bizzarri, nato sotto la Lanterna 46 anni fa, ha incominciato la carriera come attore, con la compagnia teatrale dialettale Gilberto Govi e poi con lo Stabile genovese, è ben noto ai telespettatori per “Camera Cafè”, per “le Iene” e per la partecipazione a tante trasmissioni, oltre che i suoi spettacoli con l'amico e partner Paolo Kessisoglu, genovese pure lui.
All'uscita dalla sua prima riunione del Consiglio di amministrazione della Fondazione Palazzo Ducale, con molta modestia, Luca Bizzarri ha subito riferito che è sua intenzione non cambiare, ma migliorare; inoltre, che sogna di vedere esposto, nell'aulico palazzo sede dell'istituzione che presiede, il celebre “Cannone”, il violino appartenuto a Nicolò Paganini, attualmente custodito in una teca di Palazzo Tursi, sede del Municipio, certamente meno accessibile e meno praticabile da parte dei turisti e dei cultori del grande Maestro e quindi con minori potenzialità di valorizzazione di questo tesoro.
Luca Bizzarri, dopo aver precisato che per il Ducale lavorerà gratis (parola poco diffusa soprattutto nel capoluogo ma anche nel resto della Liguria) ha detto anche che, per cercare nuove sponsorizzazioni, sta andando in giro “con il cappello in mano”, un viaggio che però si sta rivelando promettente.
Un esordio ottimo. A riconoscerlo anche il governatore della Liguria, Giovanni Toti, e la sua assessora alla Cultura, Ilaria Cavo.
Luca Bizzarri, presidente Palazzo Ducale

Più consumi e più tasse, meno risparmio

Ripresa dei consumi, nel secondo trimestre di quest'anno. Dopo la notizia diramata, pochi giorni fa, dall'Istat, l'istituto nazionale di statistica, tanti, a partire dalle associazioni dei commercianti, hanno esultato: finalmente, gli italiani tornano a spendere. Anche numerosi politici ed economisti hanno manifestato soddisfazione per la novità. E c'è chi ha aggiunto che è un effetto della maggiore fiducia da parte delle famiglie, del miglioramento della situazione occupazionale, del riavvio di un ciclo economico più favorevole.
In effetti, tra l'inizio di aprile e la fine di luglio, le famiglie consumatrici hanno speso 259,152 miliardi per consumi finali, il 2,7% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso e lo 0,4% in più rispetto al primo trimestre 2017.
Però, l'Istat ha anche rilevato che, tra l'inizio di aprile e la fine di luglio di quest'anno, il reddito disponibile lordo delle famiglie (278,571 miliardi) è aumentato solo dello 0,9 rispetto al corrispondente periodo 2016 e dello 0,2% rispetto al primo trimestre. Mentre il potere d'acquisto, pari a 256,507 miliardi, è addirittura diminuito dello 0,3% rispetto al secondo trimestre 2016 ed è rimasto invariato rispetto ai primi tre mesi di quest'anno.
L'aumento della spesa per consumi in percentuale superiore a quella del crescita del reddito disponibile, inevitabilmente, comporta il calo della propensione al risparmio. Che, infatti, nel secondo trimestre, è risultata pari al 7,5% (rapporto tra risparmio lordo e reddito lordo disponibile), quindi inferiore di 0,2 punti rispetto al trimestre precedente e di 1,5 punti rispetto al secondo trimestre del 2016. Fra l'altro, questo 7,5% è il livello più basso dalla fine del 2012.
Il calo della propensione al risparmio è passato quasi sotto silenzio, soffocato dal suono delle trombe per la ripresa dei consumi. Un aspetto sorprendente, almeno in parte, perché il risparmio, dote atavica degli italiani, è fondamentale per un'economia strutturalmente sana, solida e vitale. Naturalmente, il risparmio non fine a se stesso, altrimenti è avarizia; ma finalizzato agli investimenti, che costituiscono la base per l'aumento del patrimonio e per il miglioramento duraturo delle condizioni delle famiglie.
Sono gli investimenti che fanno progredire e sviluppare: gli investimenti nell'istruzione dei figli, per l'acquisto della casa, per l'avvio o l'ampliamento di attività, per comprare strumenti finanziari destinati ad accrescere il reddito …
Per investire, però, occorrono i risparmi. Altrimenti si fanno debiti, che rischiano di diventare insostenibili, in seguito a imprevisti sempre possibili e spesso dal costo superiore alle proprie risorse.
L'aumento dei consumi, perciò, è certamente positivo quando è correlato all'aumento del reddito netto disponibile e del potere d'acquisto, non quando va a scapito della propensione al risparmio.
Propensione sempre più difficoltosa, anche a causa dell'inarrestabile voracità del fisco. Confermata sia dalla constatazione che, nel secondo trimestre 2017, la pressione fiscale è stata pari al 41,8%, uguale allo stesso periodo del 2016, sia, fra l'altro, dagli ultimi dati del Mef, il ministero dell'Economia e delle Finanze.
Infatti, il Mef ha comunicato che dal primo giorno di gennaio all'ultimo di agosto, le entrate tributarie erariali sono ammontate a 287,045 miliardi, con un incremento di 4 miliardi e dell,1,4% rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso. In particolare, sono state pari a 120,1 miliardi le entrate Irpef (imposta sui redditi da lavoro e da pensione), salite dell'1,6%; mentre l'Iva ha generato un gettito di 79,4 miliardi (+3,2%).
Consolazione forse unica per i contribuenti onesti: le entrate derivanti dall'attività di accertamento e controllo (recupero dell'evasione fiscale), riferite solo ai ruoli dei tributi erariali, hanno sfiorato i 7 miliardi, facendo segnare un incremento del 23,1% rispetto ai primi otto mesi dell'anno scorso.





Imprese liguri, solo il 33% paga puntuale

E' ancora aumentata, nel terzo trimestre di quest'anno, la quota delle imprese che saldano con puntualità le fatture dei fornitori. Il fenomeno è emerso dallo studio sui pagamenti commerciali aggiornato al 30 settembre e realizzato da Cribis, società del gruppo Crif specializzata nella business information.
L'analisi di Cribis, infatti, ha evidenziato che, a livello nazionale, è salita al 38,2% la quota delle aziende che pagano le fatture alla scadenza, mentre era del 36,4% nel secondo trimestre e di poco più del 35% dalla fine del 2015.
Altro dato positivo: sono risultate 513 ogni mille le imprese che, tra l'inizio di luglio e la fine di settembre, hanno pagato i fornitori con un ritardo inferiore al mese; mentre erano ancora più di 500 nei tre trimestri precedenti.
Ulteriore miglioramento sul fronte dei maggiori morosi. I pagatori con ritardi superiori al mese sono stati il 10,5%, il tasso più basso dal 2012, ma rimasto superiore del 90,9% a quello del 2010, quando la grande crisi economica non era ancora esplosa, ma soltanto agli inizi. Rispetto a sette anni fa, inoltre, è ancora inferiore dell'1,9% la quota delle imprese che pagano puntualmente.
Dati che confermano un miglioramento delle condizioni finanziarie delle imprese, ma anche la persistenza di difficoltà, che, naturalmente, si riflettono sui rapporti commerciali e che ribadiscono che l'uscita dal tunnel non è vicina, benché diversi soggetti parlino già di ripresa, nonostante l'elevata disoccupazione, l'insufficienza di nuovi posti di lavoro e degli investimenti produttivi e, fra l'altro, la mancata crescita del reddito disponibile.
Comunque, tornando, ai dati sulla regolarità o meno dei pagamenti dei fornitori, la disaggregazione regionale mostra che è la Liguria la regione del Nord Ovest messa peggio. In Liguria, infatti, le imprese puntuali nel saldo delle fatture dei fornitori sono il 33,9%, a fronte del 38,2% del Piemonte e del 39,2% (in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna la quota è di oltre il 47%).

La Liguria ha anche il primato negativo della morosità: il 10,2% delle imprese locali salda le fatture con ritardi superiori ai 30 giorni, mentre in Valle d'Aosta lo fa il 9,4% e l'8,1% in Piemonte.
Giovanni Toti, presidente Regione Liguria

Offensiva di Ubi, Credem e Crédit Agricole

Tre grandi banche all'attacco nel Nord Ovest, approfittando della crisi di Carige e non solo.

UBI BANCA – A Cuneo, nello stesso palazzo di via Roma che prima ha ospitato la sede centrale e direzionale della locale Cassa di Risparmio e poi della Bre-Banca Regionale Europea, entro fine anno si insedierà la direzione Nord Ovest di Ubi, quarto gruppo creditizio italiano per capitalizzazione, poco meno di 2.000 sportelli, oltre 22.000 dipendenti, 5% del mercato italiano, recentissimo compratore delle risanate Banca Marche, Popolare Etruria e Cassa di Risparmio di Chieti.
Nata il primo giorno di aprile di dieci anni fa, a Bergamo, Ubi Banca ha circa 150.000 azionisti, il maggiore dei quali, con il 5,9%, è la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, presieduta da Giandomenico Genta e sostenitrice della nomina del cuneesissimo Ferruccio Dardanello nel nuovo Consiglio di sorveglianza, dove ha preso il posto di Gianluigi Gola, dimessosi.
La direzione Nord Ovest di Ubi Banca ha competenza su Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria e Costa Azzurra. Responsabile di questa macro area è Marco Franco Nava, classe 1966, milanese, già direttore generale della Banca di Valle Camonica, dopo aver iniziato la carriera alla Popolare Commercio e Industria, nel 1987.
In una intervista a La Guida, Marco Franco Nava, riferendo che Cuneo avrà la responsabilità anche del coordinamento commerciale, dei crediti, delle risorse umane e della comunicazione per l'intera macro area, oltre alla direzione. Inoltre, ha anticipato che da Cuneo arriveranno anche le linee guida della quinta direzione che, dall'inizio di dicembre, si avvierà a Tortona per il Piemonte Est (Novara, Asti, Alessandria, Vercelli).
Giandomenico Genta, presidente Fondazione Cr Cuneo

CREDEM – Fra le principali banche private italiane (è controllata dalla famiglia Maramotti, quella di Max Mara, fra l'altro), Credem punta a conquistare 1.500 nuovi clienti in Liguria entro la fine dell'anno, aumentando così ancora raccolta e impieghi nella regione attaccata un po' da tutti in seguito alla profonda crisi di Banca Carige.
L'obiettivo ligure di Credem è stato annunciato da Giorgio Garofalo, direttore territoriale di Credem, gruppo quotato in Borsa, dotato di oltre 6.000 dipendenti e di 600 filiali, nove delle quali in Liguria, dove ha anche un centri per le imprese e due reti di consulenti finanziari.
Giorgio Garofalo ha detto che Credem sta valutando l'apertura di altri sportelli in Liguria, dove ha in programma anche nuove assunzioni.
Alla fine del primo semestre di quest'anno, le filiali liguri del Credem avevano depositi per 1,5 miliardi e, nel periodo, hanno erogato, a imprese e famiglie, nuovi finanziamenti per 40 milioni, il 5% in più rispetto al gennaio-giugno 2016.
Giorgio Garofalo, direttore territoriale Credem 

CREDIT AGRICOLE – Una prova della crescente attenzione verso la Liguria da parte di Crédit Agricole Carispezia, l'istituto del grande gruppo francese che ha Cariparma come capofila delle attività in Italia, è appena arrivata con l'inaugurazione della nuova sede genovese, nella centralissima via XX Settembre. Sede che ospita anche la direzione territoriale di Genova e Riviere, il mercato Corporate e Imprese, oltre che il team dei consulenti finanziari.
Come ha detto Carlo Piana, direttore generale di Crédit Agricole Carispezia, la nuova iniziativa rappresenta un'ulteriore testimonianza della volontà della Banca di crescere a Genova e nel resto della Liguria, secondo il piano industriale 2016-2019, caratterizzato da un programma di notevoili investimenti per lo sviluppo. Intanto, nel primo semestre, Crédit Agricole Carispezia ha acqusiito 6.000 nuovi clienti

Carlo Piana, laurea in Economia aziendale alla Bocconi, nato nel 1967 ad Acqui Terme, è entrato nel gruppo Crédit Agricole dieci anni fa, come responsabile della direzione Corporate. Prima di diventare direttore generale della banca spezzina, è stato anche responsabile dei crediti Corporate della capogruppo francese.
Carlo Piana, direttore Crédit Agricole Carispezia

John Elkann porta Exor al record

Nuova impennata borsistica di Exor, che oggi, 5 ottobre, ha fatto segnare il suo nuovo record storico. L'azione della holding della famiglia Agnelli-Elkann-Nasi, infatti, ha chiuso le contrattazioni a 55,85 euro, il 4,1% in più rispetto a ieri e 55 centesimi in più rispetto al massimo precedente, registrato solo due giorni fa.
La corsa del titolo è continuata: all'inizio di quest'anno, l'azione Exor in Piazza Affari quotava poco più di 38 euro. Da allora ha guadagnato il 46%. Così, fra l'altro, è salito a 13,460 miliardi di euro il valore riconosciuto dal mercato alla finanziaria che ha al suo vertice John Elkann (presidente e amministratore delegato), affiancato da Sergio Marchionne e Alessandro Nasi, vice presidenti (responsabile finanziario è il torinese Enrico Vellano).
Il nuovo primato di Exor è arrivato contestualmente all'Investor Day della holding della famiglia, incontro durante il quale il numero uno del Gruppo ha fatto dichiarazioni che, indubbiamente, sono piaciute agli investitori.
In estrema sintesi, John Elkann ha detto che: a) Sergio Marchionne, al quale ha attribuito grandi meriti, resterà in Exor e contribuirà al futuro del Gruppo anche dopo il 2019, quando l'eccezzionale pilota di Fca-Fiat Chrysler Automobiles, Ferrari e Cnh Industrial è previsto che lasci il volante (ma andrà così?); b) Exor non intende vendere la sua quota di Ferrari (anzi, potrebbe puntare ad aumentarla, dall'anno prossimo); c) Exor ridurrà ancora il suo debito netto, già sceso a 3,2 miliardi di dollari alla fine di giugno.
Inoltre, il presidente e amministratore delegato di Exor ha riferito che sono state smentite tutte le voci relative a interessi di società cinesi verso Fca, il cui valore è costantemente in crescita grazie al grande lavoro fatto e le cui prospettive sono molto favorevoli. Infine, ha manifestato piena soddisfazione per i risultati della Juventus in questi ultimi anni e la totale fiducia nell'operato di Andrea Agnelli e nella società calcistica, della quale suo cugino è presidente.
Società di diritto olandese, Exor, presenta un Nav (Net asset value, valore degli investimenti meno il debito loro) di oltre 17 miliardi di dollari. Le sue principali partecipazioni sono rappresentate dal 100% del capitale di Partner Re, colosso assicurativo; il 29,23% di Fca, dove però ha il 42,4% dei diritti di voto, il 22,9% della Ferrari (32,7% dei diritti di voto), il 26,9% di Cnh Industriale (vota per il 39,9%), il 63,77% della Juventus e il 43,4% del prestigioso The Economist, dove invece vota per il 20%. Al Gruppo fa capo anche il 15% circa della Gedi, l'editrice che pubblica, fra l'altro, la Repubblica, La Stampa, l'Espresso, il Secolo XIX e diversi quotidiani locali. Della Gedi, che ha come azionista di riferimento il gruppo Cir-De Benedetti, John Elkann è anche consigliere di amministrazione.
Exor, che ha conseguito un utile netto di 916 milioni di dollari nel primo semestre di quest'anno (431 milioni nello stesso periodo del 2016) ha come azionista di maggioranza assoluta la Giovanni Agnelli Bv, che ne possiede il 52,99% del capitale.
Dal 2009, quando è stata costituita in seguito alla fusione di Ifi e Ifil, le due finanziarie torinesi a capo del gruppo Agnelli, Exor ha distribuito dividendi per 882 milioni di dollari e ha creato un ritorno del 903%, cioè i suoi azionisti hanno visto moltiplicato di 9 volte il valore del loro investimento.
John Elkann, presidente e amministratore delegato Exor


DIASORIN E KI GROUP

Oggi, altre due quotate piemontesi hanno fatto registrare altrettanti record, positivo la Diasorin, negativo Ki Group, società quest'ultima presieduta da Daniela Santanchè. Il titolo della Ki Group ha chiuso le contrattazioni a 2,50 euro, il 4,21% in meno di ieri e il prezzo più basso dall'inizio di gennaio (la capitalizzazione è scesa intorno ai 14,5 milioni).
Al contrario, Diasorin ha ancora migliorato il suo record storico, arrivando a 79,65 euro, facendo segnare così l'ulteriore incremento del 2,25% e avvicinandosi ai 4,5 miliardi di capitalizzazione.