"Povero" Malacalza, povera Carige

Una nuova lezione dalla martoriata Carige, la banca ligure che è stata tra le sei maggiori italiane, mentre ora, dopo scandali, inchieste, ribaltoni, liti e controliti giudiziarie, continui e pressanti interventi delle autorità di vigilanza, manovre speculative, in Borsa vale meno di 200 milioni di euro e, secondo qualcuno, è a rischio di commissariamento.
La nuova lezione è conseguente al fresco aut aut che Vittorio Malacalza, azionista di maggioranza relativa di Banca Carige, ha dato al Consiglio di amministrazione dell'istituto genovese di via Cassa di Risparmio, di cui è anche vice presidente: "o va fuori l'amministratore delegato o vado fuori io". Alternativa che, per la massima chiarezza, ha messo per iscritto, in una lettera, letta e consegnata a tutti i consiglieri, nonché ai sindaci, con le relative motivazioni.
L'iniziativa di Malacalza ha scatenato una raffica di critiche e contestazioni: "non ci si comporta così, non è questo il momento giusto per cambiare, cosa diranno quelli della Banca d'Italia e della Bce, ci sono tante operazioni delicate in corso, si mina il prossimo aumento di capitale, si danneggia la Banca, la sua reputazione e gli azionisti".
Come se Malacalza non fosse un socio, proprio lui che ha già investito in Carige quasi 265 milioni di e, ai prezzi attuali di Borsa, ne sta perdendo circa 230, almeno potenzialmente, dato che Piazza Affari valuta meno di 35 milioni la sua partecipazione, pari al 17,6% del capitale.
Dunque, che cosa insegna il nuovo, clamoroso atto della tragedia Carige? Innanzi tutto, che non basta essere il maggiore azionista per "comandare". Per casi analoghi, in passato, c'era chi diceva che le azioni si pesano e non si contano. E comandava, anche con piccole quote. Come, per la verità, succede ancora adesso, per esempio in Intesa Sanpaolo e non solo. Però, per comandare anche con partecipazioni minori, bisogna essere particolarmente abili, astuti, determinati e duri.
Tanti, fino a pochi giorni fa, hanno creduto che Vittorio Malacalza, nato nel '37 a Bobbio (Piacenza), ma genovese da tempo, avesse tutte le caratteristiche per essere il patron di  Carige. E' un imprenditore di successo, possiede aziende molto profittevoli e d'avanguardia, ha sempre fatto grandi affari, è uscito da Pirelli-Camfin alla grande, cioè con una plusvalenza ricchissima; ha tante buone relazioni e, fra l'altro, non poco potere.
Forse anche lui era convinto che il suo pacchetto di Carige dovesse essere considerato a peso e non contato numericamente. Così non lo ha aumentato, nonostante i prezzi di saldo degli ultimi tempi, con il titolo a 25 centesimi e anche meno, a fronte dei 5 euro e più di tre anni fa. Le risorse per accrescere la sua quota certamente le aveva e le ha; ma non è da escludere che, in qualche modo, gli sia stato "consigliato" di non farlo; magari, da Roma o da Francoforte.
Sta di fatto che non ha assunto la presidenza operativa della "sua" Banca, come invece avrebbe potuto e dovuto, visto quanto successo; ha lasciato troppo spazio ai manager, non ha proposto un gruppo di consiglieri più vicini a lui e meno indipendenti. Così, adesso, per imporsi è costretto a mettere in gioco la sua permanenza al vertice e, pare sottinteso, nella compagine societaria.
Forse, dato che il suo arrivo era stato sollecitato e persino invocato da tanti, che l'avevano individuato come il salvatore di Carige, l'uomo del rilancio della Banca il deus ex machina, Vittorio Malacalza, sposato con la cugina del regista Marco Bellocchio, ha anche sottovalutato che forse qualche potente, a Roma o a Francoforte o a Londra o a Milano, vuole invece che Carige perda l'autonomia e venga acquisita, piuttosto che aggregata a qualche colosso, magari straniero.
C'è chi dice che Vittorio Malacalza sia deciso a non mollare, a combattere anche contro poteri forti e speculatori internazionali; per difendere i suoi interessi, comuni agli altri azionisti, per la salvezza e la riscossa della Carige, per garantire alla Liguria, innanzi tutto, la continuità dell'attività di una banca storicamente sensibile e vicina alla sua comunità. Con lui si schierano, fra gli altri, quanti credono nell'iniziativa privata, nei diritti della maggioranza (anche se relativa) e sono contrari all'eccessiva invadenza dei regolatori e dei vigilanti, sulla cui neutralità è sempre più lecito dubitare, come sui loro vincoli e i loro obblighi.
Il dramma genovese continua. Resta da seguire, anche perché non mancherà di offrire altre lezioni.

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