Finanza italiana

CREDITI DETERIORATI (NPL) - Alla fine del 2016, i crediti deteriorati delle banche italiane (finanziamenti, mutui e prestiti, che i debitori non riescono più a ripagare regolarmente o del tutto) ammontava a 173 miliardi, pari al 9,4% degli impieghi totali degli istituti. Di questa montagna di crediti concessi dalle banche, 81 miliardi erano rappresentati da "sofferenze" (crediti la cui riscossione non è certa, perché i soggetti debitori si trovano in stato di insolvenza o in una situazione equiparabile) e i restanti 92 miliardi dalle altre esposizioni deteriorate, già svalutate per circa un terzo del valore nominale.
Di crediti deteriorati o di Npl, come ormai molti li chiamano usando il termine inglese (non performing loans) nel sistema finanziario nazionale si parla, da mesi, sempre di più. Sono considerati, infatti, il cancro delle banche italiane. E quasi non passa giorno che non arrivi, da diverse parti, la sollecitazione a disfarsene, il più presto possibile. Addirittura, in qualche caso, la Bce dà ultimatum. Però, c'è un problema. Le banche puntano a vendere gli Npl senza rimetterci troppo, mentre le società specializzate nell'acquisto e nella gestione dei crediti deteriorati mirano a pagarli poco, spesso tra il 20 e il 30% del loro valore nominale.
Così, succede che le banche ci rimettono un sacco di soldi, mentre i pochi operatori acquirenti di soldi ne guadagnano un sacco, essendo capaci a riscuotere dai debitori somme ben più elevate di quelle pagate per i crediti deteriorati rilevati.
Dell'anomalia di questo nuovo, colossale business, si è reso conto lo stesso Governatore della Banca d'Italia, il quale ha riconosciuto che "La Vigilanza è consapevole della necessità di non forzare politiche generalizzate di vendita dei crediti deteriorati, che conducono, di fatto, a un trasferimento di risorse dalle banche italiane a pochi investitori specializzati". Peccato, però, che il pressing sulle banche italiane continui, a tutto vantaggio degli speculatori.

LA STRAGE BANCARIA - Altro che deforestazione bancaria, qui è una strage. Già al 31 dicembre 2016, nel nostro Paese si sono ridotti a 70 i gruppi bancari e a 475 le banche non incluse nei gruppi. Esattamente un anno prima i gruppi erano ancora 75 e 504 le banche non incluse nei gruppi. Numeri che diventano ancora più significativi se si considerano sia i consuntivi degli anni precedenti sia il fatto che delle banche non incluse nei gruppi a fine 2016 ben 325 sono Bcc (credito cooperativo) e 82 succursali di istituti esteri. Inoltre, va considerato che dall'inizio di quest'anno a oggi, il sistema ha avuto ancora altre perdite e nei prossimi mesi il fenomeno continuerà.
Insomma, tra poco, di banche indipendenti in Italia ne resteranno un centinaio. Intanto, cala, ancora di più e rapidamente, il numero degli sportelli e dei dipendenti. Mentre, l'attività tipica si mantiene su buoni livelli. Infatti, la raccolta bancaria da clientela, in essere al 31 maggio, è risultata pari a 1.713,9 miliardi e gli impieghi in essere hanno sfiorato i 1.800 miliardi.

ASSICURAZIONI - Nel 2016, il totale dei premi pagati alle compagnie assicurative operanti in Italia è sceso a 134 miliardi, l'8,7% in meno rispetto ai 147 miliardi del 2015. Il calo si deve soprattutto al Ramo Vita, che ha incassato l'11% in meno, evidenziando così un'inversione di tendenza dopo i tre anni precedenti di crescita progressiva. Più contenuta è stata la diminuzione del valore delle polizze emesse nel comparto Auto, ridotto del 3% e in linea, negativa, con l'ultimo lustro. E' invece risalito del 3% il Ramo Danni non auto. Però, il Ramo Vita vale il 76% dei premi assicurativi pagati l'anno scorso nel nostro Paese, mentre il Ramo Danni vale il 24%, equamente diviso tra Auto e non.
In merito all'Rc Auto, va rilevato che il premio medio 2016 per l'assicurazione obbligatoria di una vettura a uso privato è sceso a 420 euro (al netto di tasse e contributi), somma che però è ancora superiore di 140 euro a quella pagata da francesi, tedeschi e spagnoli. Forse può consolare, comunque, che nel 2015 il divario era di 190 euro e di oltre 260 nel 2011.
Le 111 compagnie assicurative attive in Italia, con quasi 30.000 dipendenti e oltre 5.700 broker, alla fine dell'anno scorso avevano, all'attivo, investimenti per oltre 810 miliardi (a valore di mercato), 360 dei quali rappresentati da titoli di Stato. Insieme, hanno dichiarato un utile complessivo vicino ai 6 miliardi, quanto nell'esercizio precedente.

BORSA DI MILANO - Piazza Affari in double face. L'anno scorso, l'indice Ftse Italia Mib storico è diminuito del 7,6% e la capitalizzazione totale delle società italiane quotate è calata a 525 miliardi a fine 2016 dai 573,6 di fine 2015. E' sceso anche il controvalore degli scambi di azioni delle società nazionali a 615,4 miliardi dai 792.9 precedenti. Al contrario, sono aumentate le società presenti nel listino da 356 a 387, il numero più alto degli ultimi cinque anni. Sono cresciuti, inoltre, i dividendi distribuiti dalle quotate italiane (da 15,1 a 16,7 miliardi), come i rapporti fra gli utili e la capitalizzazione e fra i dividendi e la capitalizzazione.

CONTI PUBBLICI - Il consolidato 2016 delle Amministrazioni pubbliche, riportato nella relazione annuale della Banca d'Italia, mostra entrate totali per 788,5 miliardi, ancora 2,6 miliardi in più rispetto al 2015 e quasi 41 miliardi più che nel 2011; inoltre, mostra spese totali per 829,3 miliardi, quasi un miliardi meno dell'anno prima, ma 20,7 miliardi in più rispetto al 2011. Insomma, le Amministrazioni pubbliche continuano a spendere più di quanto incassano e, come se non bastasse, la crescita delle loro spese è superiore a quella delle loro entrate. Chiaro che così il debito pubblico non può che continuare a salire.
Altrettanto grave è che le sole spese pubbliche in diminuzione sono quelle relative agli interessi pagati per i debiti (merito esclusivo della Bce di Mario Draghi e dei suoi tassi bassissimi) e quelle per gli investimenti fissi, pari a 35 miliardi nel 2016 a fronte degli oltre 45 di cinque anni prima.
Naturalmente, viene fatto osservare che però è calata l'incidenza sul Pil sia delle spese (al 49,6%), sia delle entrate (al 47,1%), sia dell'indebitamento netto (al 2,4%); tuttavia, andrebbe aggiunto, che questi risultati sono conseguenti non a comportamenti virtuosi delle Amministrazioni pubbliche, ma al miglioramento del Pil, frutto prevalentemente dei soggetti privati.