Una norma bislacca

I vertici di diverse fondazioni di origine bancaria sono stati, sono e saranno accusati di avere gestito male le partecipazioni nelle rispettive banche conferitarie, cioè quelle dalle quali sono nate, agli inizi del Duemila, in seguito alla Legge Amato, che ha riformato radicalmente il sistema creditizio italiano. Tra i capi d'imputazione, oltre alla concentrazione degli investimenti finanziari sulla banca d'origine e all'insufficiente diversificazione del patrimonio, spicca il mancato controllo dell'attività degli amministratori della "loro" banca.
Contestazione, quest'ultima, fatta da molti, ma decisamente degna di chi non conosce adeguatamente il contesto in cui devono operare le fondazioni di origine bancaria. I critici, infatti, non sanno, o fanno finta di non sapere, che la legge specifica vieta a tutti i responsabili delle fondazioni di far parte degli organi della "loro" banca. La norma recita, testualmente: "I  soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la fondazione non possono ricoprire funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la società bancaria conferitaria o sue controllate o partecipate". E lo stesso vale per i consiglieri di indirizzo o generali.
In sostanza: la fondazione non può avere alcun suo rappresentante nella banca d'origine, a prescindere dall'entità della sua partecipazione, cioè che la controlli o meno. Una corbelleria, un'assurdità. A tutti i componenti degli organi del soggetto che possiede una quota rilevante, o addirittura di maggioranza, di una società, è vietato partecipare direttamente all'attività della stessa società. E' come se, per esempio, a John Elkann, socio di controllo della Fca - Fiat Chrysler Automobiles fosse proibito di far parte del consiglio di amministrazione del suo gruppo autoveicolistico.
La legge che regola le fondazioni di origine bancaria consente, invece, che le stesse nominino, nei consigli di amministrazione delle rispettive banche, persone scelte al loro esterno. Le quali, però, non hanno vincolo di mandato, cioè, una volta elette, devono agire con assoluta libertà, nell'interesse esclusivo della banca e senza rispondere minimamente ai designatori. A loro la fondazione non può chiedere nulla e nulla loro possono riferire alla fondazione: sarebbe illegale.
Perciò, come potevano e possono gli amministratori di una fondazione essere considerati responsabili dell'operato della banca conferitaria? Non hanno il diritto di avere informazioni di prima mano (sarebbe insider trading) e neppure di intervenire, direttamente, sulle scelte strategiche. Incredibile.
Come se non bastasse, il protocollo Acri-Mef  (associazione delle fondazioni e ministero dell'Economia e delle Finanze) vincola tutti gli enti sottoscrittori a inserire nei rispettivi statuti la norma secondo la quale le persone che hanno ricoperto incarichi apicali nella fondazione non possono far parte degli organi della banca conferitaria se non dopo almeno un anno dalla cessazione della carica, così come chi è stato ai vertici della banca non può entrare in fondazione se non dopo aver lasciato l'incarico in banca da un anno almeno.
Questo, comunque, non è l'unico vincolo discutibile del protocollo Acri-Mef, che, fra l'altro, obbliga le fondazioni a non avere più di un terzo del proprio attivo investito in un unico bene. Per cui, varie fondazioni saranno costrette a perdere le "loro" banche.