Paolo Gallo a tutto gas

Giorni da orso, i finali di maggio, per Piazza Affari. La Borsa paga le manovre per le elezioni politiche anticipate, le crisi bancarie nazionali, il mancato rialzo del petrolio e, fra l'altro, il peggioramento dei rapporti tra i Grandi del mondo. L'indice scende, ma non mancano i titoli che salgono, nonostante tutto. In particolare, sul finire del mese, a fare il mattatore è stata l'Italgas, ritornata sul listino a fine 2016, dopo 13 anni di assenza. Nei giorni scorsi, infatti, l'Italgas, guidata da Paolo Gallo, ha fatto segnare nuove quotazioni record, con il valore dell'azione aumentato di circa il 40% negli ultimi sei mesi,
Proprio il 31 maggio, Paolo Gallo, amministratore delegato e direttore generale dell'antica società (è stata fondata 180 anni fa, a Torino) ha illustrato il piano industriale 2017-2023, che prevede, fra l'altro, investimenti per 5 miliardi di euro, un aumento della quota di mercato al 40% dall'attuale 30%, dividendi in crescita mediamente del 4% all'anno e riduzione dei costi di oltre il 15% entro il 2018. Quanto all'esercizio in corso, gli investimenti ammonteranno a circa 500 milioni, i ricavi a 1,1 miliardi e la redditività dovrebbe risultare pari al 7%.
Numeri che hanno fatto brindare i soci del primo operatore in Italia nel settore della distribuzione cittadina del gas naturale e il terzo a livello europeo (Italgas ha una rete di quasi 57.000 chilometri, poco meno di 1.500 concessionari eoltre 3.500 dipendenti).
Soddisfatto, naturalmente, anche Paolo Gallo, che a Torino è nato, nel 1961, e si è laureato in Ingegneria aeronautica, titolo al quale ha fatto seguire un master in business administration.  Al governo dell'Italgas, presieduta da Lorenzo Bini Smaghi, è stato chiamato mentre era amministratore delegato di Grandi Stazioni, di cui ha portato a termine la privatizzazione. Prima, dal 2011, è stato al vertice operativo di Acea, una delle principali multiutility italiane, mentre, dal 2002, aveva lavorato per il gruppo Edison, fino a diventare amministratore delegato di Edipower.
Paolo Gallo ha iniziato la carriera manageriale, nel 1988, in Fiat Avio. Nel 1997 ha incominciato a occuparsi di energia, sviluppando nuove iniziative anche in India e Brasile; poi ha raggruppato tutte le attività di generazione elettrica del gruppo torinese in Fiat Energia, la quale, nel 2001, ha acquisito Montedison. Operazione in seguito alla quale Paolo Gallo è entrato a far parte di Edison.
Italgas ha come principali azionisti la Cassa Depositi e Prestiti Reti con il 26% del capitale e la Snam con il 13,5%; mentre sfiora il 56% la quota del flottante.

Già 2.000 sulla Scialuppa Crt

In maggio sono diventati più di 2.000 i soggetti "imbarcati" dalla Scialuppa Crt Onlus, la fondazione torinese che combatte l'usura, prevenendola. Oltre duemila, tra persone e micro imprenditori , con relative famiglie, hanno ricevuto un aiuto concreto per superare le gravissime difficoltà generate dal loro sovraindebitamento, un cumulo di impegni finanziari diventati insostenibili per il loro peso totale eccessivo. Per loro, la Scialuppa Crt Onlus ha garantito finanziamenti complessivi, che, sempre in maggio, hanno superato i 35 milioni di euro, naturalmente da quando la fondazione ha iniziato a operare, nel 1998.
Da allora, fra l'altro, ha assistito più di 13.000 individui, che, dopo aver raccontato i loro problemi e aver spiegato la loro situazione economica, hanno avuto la consulenza dei volontari della Scialuppa Crt, assolutamente gratis. Come completamente gratuito è tutto l'iter del percorso di accompagnamento di chi viene preso a bordo della Scialuppa Crt, dal primo incontro all'istruzione della pratica, agli interventi diretti del volontario sui creditori per ottenere ristrutturazioni dei debiti con saldo e stralcio, fino alla concessione di un nuovo prestito, a tasso estremamente agevolato, da parte di una delle banche convenzionate con la fondazione.
A fornire i dati sui salvataggi compiuti finora dalla Scialuppa Crt Onlus, durante l'ultimo Consiglio di amministrazione, sono stati Ernesto Ramojno e Luciana Malatesta, rispettivamente presidente e consigliere delegato dell'ente non profit, costituito e continuamente sostenuto dalla Fondazione Crt, encomiabilmente. Del Cda fano parte anche Gastone Cottino, vice presidente, Franco Alunno, Alessandro Battaglino, Marcello Callari e Danilo Danielis (il Collegio dei revisori è formato da Giacomo Zunino, presidente, Piera Braja e Luciano Cagnassone).
La Scialuppa Crt Onlus è attiva in tutte le province del Piemonte e in Valle d'Aosta. Ha circa 35 volontari, molto esperti - sono stati dirigenti e funzionari di banca - ma anche molto disponibili, sensibili, riservati e di cuore: fanno tutto il possibile, con grande impegno e senso di responsabilità, per risolvere il maggior numero dei casi, spesso drammatici, dei quali vengono investiti.
Per legge, la Fondazione non può aiutare chi è già vittima dell'usura; mentre non lesina sforzi per evitare che finisca nelle grinfie dei tanti "cravattari", magari componenti della criminalità organizzata, chi si è indebitato eccessivamente, inconsciamente o per cause imprevedibili e non dipendenti dalla sua volontà.

I mantra di Urbano Cairo

Se non d'oro, è almeno d'argento, questo momento, per Urbano Cairo, l'imprenditore piemontese-lombardo, al quale fanno capo, fra l'altro, la Rcs MediaGroup (Rizzoli-Corriere della Sera), La 7 (tv), il Torino Calcio e, naturalmente, la Cairo Communication, gruppo editoriale di primo livello. Le sue aziende vanno bene, il Toro ha fatto una buona stagione e sta dando soddisfazioni economiche, scala la classifica nazionale della notorietà e della considerazione generale, riceve manifestazioni di stima persino da avversari ostici e pepati come Diego della Valle e Andrea Bonomi, che ne avevano avversato, con Mediobanca, la conquista di via Solferino e, infine, ha appena ricevuto la gratificazione di un'intera pagina de La Stampa (Primo Piano di domenica 28 maggio), quotidiano che, straordinariamente, non ha lesinato lodi nei suoi confronti.
Insomma, una raffica di riconoscimenti, urbi et orbi. Certamente graditi, forse quanto i risultati delle sue aziende, a partire da quelle quotate in Borsa: Rcs MediaGroup, già riportata a generare cassa invece che assorbirne, dopo neppure un anno di cura (ne ha preso il controllo il 15 luglio scorso); e Cairo Communication, che nel primo trimestre di quest'anno ha registrato ricavi consolidati per 270,9 milioni di euro (631,7 milioni nell'intero 2016), ha ridotto l'indebitamento netto a 345,4 milioni dai 366 emersi alla fine dell'esercizio passato, chiuso con un utile netto di 84,4 milioni.
Così, il 21 maggio, Urbano Cairo ha potuto festeggiare, con particolare piacere, il suo sessantesimo compleanno. Origini alessandrine - suo nonno e suo zio facevano gli agricoltori a Masio - si è laureato alla Bocconi di Milano, dove ha conosciuto Berlusconi, di cui è stato uno dei principali collaboratori fino alla rottura e alla conseguente decisione di mettersi in proprio, nel 1995. "Quando è nata Cairo Pubblicità - ha ricordato - non avevo neanche l'ufficio: c'ero solo io, il telefonino e un'idea". Che lo ha portato a crearsi un impero. E' diventato il più grande venditore di settimanali popolari in Italia. "Non è vero che con i giornali non si possono fare soldi. Io li faccio" . Lo ha detto e lo dimostra. Alla carta stampata crede, come ai buoni giornalisti, a prescindere dalla loro età. Infatti, è contrario ai prepensionamenti: "Uno lo mandi via perché non lavora o perché lavora male, non perché ha sessant'anni" ha spiegato, aggiungendo che se i giovani hanno più energie, gli anziani hanno l'esperienza e il mestiere "e i giornali si fanno con il mestiere".
Lui riesce a far soldi anche con la televisione. Ha preso La 7, quasi regalatagli, quando perdeva 100 milioni all'anno. L'ha resa profittevole. Innanzi tutto, tagliando i costi ed eliminando gli sprechi. Raccontano che si è quasi sentito male, quando ha visto che, nel 2012, quelli de La 7 avevano speso mezzo milione di euro in taxi. Proprio lui, che controlla tutti i conti, le fatture e le note spese, verificando ogni euro che esce e perché esce, sostenendo che le persone si conoscono a fondo da come spendono. Risparmio e ottimizzazione di ogni risorsa sono i suoi mantra.
Che sia anche un po' spilorcio è lecito sospettarlo. Certo che compra se pensa che sia un investimento. E' successo anche per la società granata, la cui presidenza gli ha dato una popolarità assoluta. Tutti sanno chi è per il Toro e Bellotti, pochi sanno che ha rilevato il "Corrierone", diventandone il numero uno, con tutti i benefici che ne conseguono, compreso il potere rilevante.
Una combinazione che, accompagnata, com'è, da ambizione, simpatia, giovialità e altre doti, lo rendono molto ambito. Non per nulla gli hanno offerto anche la candidatura a sindaco, prima di Torino e poi di Milano. Ha ringraziato, ma, gentilmente, ha declinato. "Per la politica ho una grande passione, ma non ne ho il tempo; almeno per ora" ha riferito ad Andrea Malaguti della Stampa. Sente di più la responsabilità nei confronti dei suoi 4.500 dipendenti diretti e per gli altrettanti indiretti. Impegni che, fra l'altro, lo fanno dormire per poche ore per notte, come Sergio Marchionne.
Tre matrimoni, quattro figli, Urbano Cairo, da giovane giocava a calcio, nel ruolo di ala destra. Tifava Milan, ma si ispirava a Claudio Sala, "il poeta del Toro dello scudetto 1976". Una premonizione? Comunque, ama il calco: "sport bellissimo, che regala grandi emozioni ed entusiasmo, come dovrebbe fare anche l'editoria" ha confidato.
E' stato scritto che, una volta, avrebbe risposto che gli sarebbe piaciuto rinascere Silvio Berlusconi. Può darsi. Sta di fatto che, nel 2013, ha affermato: "Sono contento di essere come sono, con pregi e difetti. E vorrei rinascere Urbano Cairo".

Altri due torinesi ai vertici nazionali

Marco Cossolo e Massimo Salvai, due torinesi che, a fine maggio, hanno conquistato due presidenze nazionali. Marco Cossolo è stato eletto al vertice di Federfarma, che rappresenta oltre 16.000 farmacie private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. Massimo Salvai è diventato il numero uno di Round Table Italia, associazione che riunisce giovani professionisti, imprenditori, dirigenti, intellettuali, tutti rigorosamente sotto i 40 anni. Round Table Italia, emanazione dell'omonimo organismo internazionale, nato 90 anni fa in Inghilterra, riunisce nel nostro Paese oltre 60 club, definiti "Tavole".
Massimo Salvai, laurea in Economia e master in marketing e comunicazione, è di Pinerolo, dove fa il commercialista nello studio Percivati, Fornero, Baridon e Associati, che si avvale di 35 professionisti al servizio di un paio di migliaia di clienti.
Marco Cossolo, nato sotto la Mole 52 anni fa, si è laureato in Farmacia nel 1988. La farmacia di cui è titolare si trova a Carignano, cittadina della quale è stato anche sindaco, per dieci anni, fino al 2016. Da due lustri è segretario di Federfarma Piemonte e, dal gennaio scorso, di Federfarma Torino, alla quale aderiscono 686 farmacie, attive nel capoluogo e in provincia. Inoltre, dirige le società di proprietà di Federfarma Torino dedicate alla fornitura di servizi di formazione, informazione, comunicazione, contabilità e controllo di gestione. Già amministratore delegato di Farmauniti, cooperativa che riunisce circa 1.100 farmacie dislocate in Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, nel 2013 lo diventa anche di Unifarma e, dall'anno scorso, pure di UninetFarma, da lui fondata.
Un obiettivo prioritario del programma di Marco Cossolo è "valorizzare e promuovere la farmacia come canale primario della dispensazione del farmaco sul territorio nazionale, tutelare il valore della ruralità e le farmacie più deboli". Finalità condivise diffusamente nella categoria, come riconosce, fra gli altri, Marco Rey, titolare della storica farmacia Busatti di via Monginevro, a Torino.



Testate Netweek al rilancio

Buona nuova per i giornalisti, i dipendenti e i lettori delle 17 testate locali che Dmail Group (presto Netweek) edita nel Nord Ovest. L'impresa lombarda, quotata in Borsa e controllata dalla famiglia Farina con poco meno del 90% del capitale, ha praticamente azzerato l'indebitamento finanziario, che sfiorava i 37 milioni a fine dicembre 2015; ha conseguito un utile netto di 32,9 milioni nel 2016 e, nei primi cinque mesi di quest'anno, ha concluso il pagamento sia dei creditori in prededuzione e privilegiati sia quelli chirografari, per cui i suoi amministratori prevedono "che la formale chiusura della procedura di concordato in continuità possa avvenire nelle prossime settimane".
Oltre ad approvare il bilancio 2016, che riporta ricavi per 27,3 milioni e un patrimonio netto di 5,5, l'assemblea del 30 maggio ha deliberato il cambio della denominazione sociale in Netweek spa, anche in seguito alla "necessità di una nuova identità aziendale" e alla volontà di manifestare l'apertura di un nuovo percorso di crescita, avendo "la maturità per avviare un ambizioso progetto di espansione nel settore dell'editoria locale, attraverso un approccio multicanale che abbraccia sia la carta stampata sia i nuovi media digitali". Un nuovo piano industriale di sviluppo è in via di definizione.
Dopo aver acquisito, recentemente, L'Eco di Biella e Il Corriere di Novara, la società presieduta da Vittorio Farina ha in programma di aprire cinque nuove testate in Veneto, entro la fine del 2017. Che si aggiungeranno alle 14 piemontesi, alle due liguri (La Riviera e Il Nuovo Levante) e a quella valdostana (La Vallée Notizie).

Quanto vale "Unipolito"

"Unipolito", Università e Politecnico di Torino. Insieme, hanno 102.000 iscritti e circa 5.800 dipendenti, 3.000 dei quali dediti all'insegnamento o alla ricerca. Quest'anno, i loro costi operativi sono previsti in poco più di 654 milioni di euro, di cui oltre 400 per il personale e, specificatamente, 277 per il corpo docente. Quanto ai proventi operativi, il budget aggregato 2017 dei due atenei ne indica per 693 milioni: 412 milioni hanno come fonte il ministero dell'Università e della Ricerca (Miur) più le altre amministrazioni centrali; mentre ammontano a 175 milioni i contributi propri, costituiti dalle tasse d'iscrizione, i ricavi dalle ricerche commissionate e, fra l'altro, i trasferimenti tecnologici.
Questi dati sono appena stati pubblicati dal quotidiano torinese Cronaca Qui, che ha aggregato numerose cifre contenute nei bilanci preventivi dell'Università e del Politecnico relativi all'esercizio in corso. Ne sono emerse diverse curiosità. Una è che, quest'anno, "Unipolito" pagherà imposte per circa 27 milioni di euro. Un'altra è che è previsto una chiusura del 2017 con un avanzo di poco superiore ai 6,5 milioni (non si può parlare di utile, perché si tratta di enti non profit). Al risultato economico i due atenei torinesi dovrebbero contribuire in misura pressoché identica: l'Università con 3,2 milioni e il Politecnico con 3,4. Prima del consuntivo, perciò, si potrebbe parlare di un pareggio fra i due magnifici rettori, rispettivamente Gianmaria Ajani e Marco Gilli.
Decisamente più grande, l'Università (70.500 iscritti, 20% residenti fuori Piemonte; proventi operativi totali per oltre 442 milioni e costi operativi per 418), nel passato anno accademico ha consegnato 12.300 lauree, mentre sono stati 6.500 i laureati del Politecnico, che conta 31.500 iscritti, dei quali il 58% residenti fuori regione.
Anche i numeri, dunque, dicono chiaramente quanto Unipolito, cioè la struttura accademica pubblica, sia importante per Torino, che presenta i titoli per definirsi città universitaria.

Gli affari della "Pitonessa"

Per la cuneese Daniela Garnero Santanchè, definita da molti "la Pitonessa", il 2016 è stato un anno certamente non buono, a livello imprenditoriale. Infatti, delle tre società quotate in Borsa che presiede, soltanto una ha chiuso il bilancio in attivo. A fare profitti, nell'esercizio passato, è stata unicamente la torinese Ki Group, a capo di alcune aziende operanti nel settore dei prodotti biologi e naturali, commercializzati principalmente attraverso i canali specializzati, quali le erboristerie e le farmacie. Una società del gruppo è Almaverde Bio.
Ki Group ha dichiarato un utile netto di circa 400.000 euro e il suo fatturato è stato di 48,2 milioni. Hanno denunciato perdite, invece, Visibilia Editore e Bioera, entrambe milanesi, presenti nel listino di Piazza Affari e con Daniela Santanchè al loro vertice. Visibila Editore, proprietaria dei giornali Ville e Giardini, Ciak e Pc professional, una quindicina di dipendenti, ricavi 2016 per 3,8 milioni, ha perso circa 800.000 euro. Bioera, holding di partecipazioni, che possiede la maggioranza assoluta della Ki Group, e, fra l'altro, il 40% della controllante di Visibilia Editore, ha chiuso il bilancio consolidato con un rosso di 2,7 milioni (3,7 nel 2015) e ricavi per 54,4 milioni (-7% rispetto all'esercizio precedente).
Della Bioera è amministratore delegato e direttore generale Canio Giovanni Mazzaro, numero uno della Pierrel, oltre che vice presidente della Ki Group e socio della Santanchè anche in Visibilia, creatura della "Pitonessa", attiva pure come concessionaria pubblicitaria di diverse testate.
Daniela Santanchè, nata a Cuneo nell'aprile del '61, figlia di un imprenditore spedizioniere, laurea in Scienze Politiche all'Università di Torino, ha costituito la sua prima azienda nel 1983, nel settore del marketing. Parlamentare, invece, è stata eletta, per la prima volta, nel 2001, nelle liste di Alleanza Nazionale. Fra l'altro, è stata sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio nel governo Berlusconi IV. Nel 2013 ha aderito al Popolo della Libertà, quindi a Forza Italia, all'interno della quale, recentemente, ha fondato l'associazione Noi Repubblicani.
Personaggio molto noto, presenza non rara sui rotocalchi e in televisione, dove evidenzia la sua "verve" e il suo spirito battagliero, Daniela Santanchè nel 1998 è stata co-fondatrice del mitico "Billionaire" con Flavio Briatore - altra star cuneese - del quale è socia nel Twiga di Forte dei Marmi.

Passadore alla carica

Un record dopo l'altro, per la Banca Passadore. Che, però, non si accontenta, così che il 2017 potrebbe far segnare il sesto miglior bilancio consecutivo dell'istituto genovese controllato dall'omonima famiglia, che ne è anche al comando, con Agostino Passadore presidente e il fratello Francesco amministratore delegato (vice presidente è il torinese Carlo Acutis, socio della banca e azionista di controllo della Vittoria Assicurazioni).
Nei primi tre mesi di quest'anno, infatti, la Passadore ha aumentato la raccolta del 6,9% e dell'8,2% i titoli della clientela in deposito, oltre ad avere incrementato del 7,4% gli impieghi a famiglie e imprese. E nel periodo ha conseguito un utile di 4,467 milioni, superiore al preventivato. Nell'intero 2016, la raccolta totale è ammontata a 4,4 miliardi, di cui 2,4 miliardi diretta; mentre i finanziamenti alla clientela sono saliti a 1,6 miliardi e l'utile netto a 15,1 milioni. Il roe è risultato del 9% e il Cet1 del 13,51% (il patrimonio netto ha superato i 176 milioni).
Indubbiamente, la crisi di Carige ha portato benefici alla Passadore, una delle banche private storiche, essendo stata costituita nel 1888 e ancora in portafoglio agli eredi del fondatore, i quali hanno aperto il capitale ad alcuni selezionati investitori, compresa la piemontese Banca Azzoglio, a sua volta, familiare e partecipata dalla Passadore per circa il 10%.
La Passadore ha acquisito non pochi clienti, che prima lo erano della Cassa di Risparmio di Genova e Imperia. Comunque, gran parte del suo successo è conseguente a meriti propri, alle sue capacità di sviluppo. Fra l'altro, ha da poco aperto una filiale anche ad Alba, portando così a 23 i suoi punti operativi, dislocati in sette regioni e 16 città: Torino, Alessandria, Novi Ligure, Aosta, Milano, Roma, Brescia, Firenze, Parma, La spezia, Chiavari, Albenga, Imperia, Bordighera, oltre, appunto, Alba e il capoluogo ligure. Una prossima tappa dovrebbe riguardare il Nord Est.
Da tempo, la Passadore è molto attiva nella città della Mole, verso la quale mantiene un forte interesse come conferma anche la recente adesione alla Consulta di Torino per la valorizzazione dei Beni artistici e culturali, prestigioso ente che ha fra i suoi nuovi soci anche la Banca del Piemonte della famiglia Venesio.

  

Una norma bislacca

I vertici di diverse fondazioni di origine bancaria sono stati, sono e saranno accusati di avere gestito male le partecipazioni nelle rispettive banche conferitarie, cioè quelle dalle quali sono nate, agli inizi del Duemila, in seguito alla Legge Amato, che ha riformato radicalmente il sistema creditizio italiano. Tra i capi d'imputazione, oltre alla concentrazione degli investimenti finanziari sulla banca d'origine e all'insufficiente diversificazione del patrimonio, spicca il mancato controllo dell'attività degli amministratori della "loro" banca.
Contestazione, quest'ultima, fatta da molti, ma decisamente degna di chi non conosce adeguatamente il contesto in cui devono operare le fondazioni di origine bancaria. I critici, infatti, non sanno, o fanno finta di non sapere, che la legge specifica vieta a tutti i responsabili delle fondazioni di far parte degli organi della "loro" banca. La norma recita, testualmente: "I  soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la fondazione non possono ricoprire funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la società bancaria conferitaria o sue controllate o partecipate". E lo stesso vale per i consiglieri di indirizzo o generali.
In sostanza: la fondazione non può avere alcun suo rappresentante nella banca d'origine, a prescindere dall'entità della sua partecipazione, cioè che la controlli o meno. Una corbelleria, un'assurdità. A tutti i componenti degli organi del soggetto che possiede una quota rilevante, o addirittura di maggioranza, di una società, è vietato partecipare direttamente all'attività della stessa società. E' come se, per esempio, a John Elkann, socio di controllo della Fca - Fiat Chrysler Automobiles fosse proibito di far parte del consiglio di amministrazione del suo gruppo autoveicolistico.
La legge che regola le fondazioni di origine bancaria consente, invece, che le stesse nominino, nei consigli di amministrazione delle rispettive banche, persone scelte al loro esterno. Le quali, però, non hanno vincolo di mandato, cioè, una volta elette, devono agire con assoluta libertà, nell'interesse esclusivo della banca e senza rispondere minimamente ai designatori. A loro la fondazione non può chiedere nulla e nulla loro possono riferire alla fondazione: sarebbe illegale.
Perciò, come potevano e possono gli amministratori di una fondazione essere considerati responsabili dell'operato della banca conferitaria? Non hanno il diritto di avere informazioni di prima mano (sarebbe insider trading) e neppure di intervenire, direttamente, sulle scelte strategiche. Incredibile.
Come se non bastasse, il protocollo Acri-Mef  (associazione delle fondazioni e ministero dell'Economia e delle Finanze) vincola tutti gli enti sottoscrittori a inserire nei rispettivi statuti la norma secondo la quale le persone che hanno ricoperto incarichi apicali nella fondazione non possono far parte degli organi della banca conferitaria se non dopo almeno un anno dalla cessazione della carica, così come chi è stato ai vertici della banca non può entrare in fondazione se non dopo aver lasciato l'incarico in banca da un anno almeno.
Questo, comunque, non è l'unico vincolo discutibile del protocollo Acri-Mef, che, fra l'altro, obbliga le fondazioni a non avere più di un terzo del proprio attivo investito in un unico bene. Per cui, varie fondazioni saranno costrette a perdere le "loro" banche.
    

Baravalle turbo Lavazza

Posto d'onore per il manager torinese Antonio Baravalle, amministratore delegato della Lavazza dal giugno 2011. Inseritosi bene nell'impresa subalpina, interamente controllata dall'omonima famiglia, che ha sei suoi esponenti nel consiglio di amministrazione (il presidente Alberto, i vice presidenti Giuseppe e Marco, le consigliere Antonella, Francesca e Manuela), Alberto Baravalle continua a tenere il piede schiacciato sull'acceleratore della crescita. Lo conferma non soltanto la crescita del fatturato del numero 1 italiano del caffè, aumentato di 630 milioni di euro negli ultimi cinque anni e arrivato a 1,9 miliardi di euro nel 2016; ma anche la sua campagna acquisti: dalla francese Carte Noir alla danese Merrild, leader nei Paesi baltici, fino alla canadese Kicking Horse, ufficializzata il 24 maggio. Acquisti mirati, destinati a rafforzare il gruppo e a sviluppare le vendite all'estero, già superiore al 50% dei ricavi totali.
L'obiettivo di un fatturato di 2,2 miliardi entro il 2020 è quanto mai credibile. Tra l'altro, sono ipotizzabili altre acquisizioni. Le risorse ci sono. Lavazza presenta una posizione finanziaria netta positiva per 687,5 milioni e continua a fare utili (82,2 milioni l'anno scorso, dopo il risultato straordinario di 802 milioni del 2015, conseguenti alla vendita della partecipazione nella Keurig Green Mountain).  Insomma, un'impresa forte, dinamica, dotata di grande liquidità e di altrettanta volontà di espandersi, sempre più attiva fuori dai confini nazionali (nel 2015 ha anche aperto una consociata in Australia), non accontentandosi della presenza in oltre 90 Paesi stranieri (in Italia ha la quota del 44% del mercato retail). I 20 miliardi di tazzine di caffè Lavazza consumate in un anno, a livello mondiale, saranno presto superati.
Antonio Baravalle, nato nel 1964 sotto la Mole, dove si è laureato in Biologia, ha incominciato la sua carriera nella multinazionale inglese Diageo, dopo un master in business administration. Nel 1999 è entrato in Fiat, dove ha assunto incarichi di sempre maggiore responsabilità, fino a diventare amministratore delegato prima della Lancia e poi dell'Alfa Romeo. Nel 2008 ha lasciato il colosso automobilistico guidato da Sergio Marchionne ed è diventato amministratore delegato della Giulio Einaudi Editore (gruppo Mondadori). Da qui è stato chiamato dai Lavazza al vertice operativo della loro storica azienda, fondata nel 1885 a Torino, che ne è giustamente orgogliosa.





Banche locali: 43 rapine

Nel 2016, sono state 43 le rapine nelle filiali delle banche del Nord Ovest, una in meno dell'anno precedente. L'Ossif, il Centro di ricerca dell'Abi (Associazione bancaria italiana), ne ha censite 33 in Piemonte e 10 in Liguria, mentre la Valle d'Aosta è rimasta indenne. In Piemonte i colpi in banca sono aumentati (erano stati 30 nel 2015) e questa è l'unica regione, insieme con il Molise, ad avere subito un incremento. Invece, in Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, oltre che, appunto, in Valle d'Aosta, le banche non hanno avuto alcuna rapina e in tutte le altre regioni gli attacchi alle casse degli istituti di credito sono diminuiti.
In tutto il Paese, l'anno scorso, le rapine in banca sono risultate 360, il 32% in meno rispetto al 2015 e il 90% meno che nel 2007, quando ne erano state denunciate poche meno di 3mila (2.972). In testa, nella graduatoria per numero di rapine nel 2016, si trova la Lombardia (59), seguita da Sicilia, Emilia-Romagna (41), Lazio (35) e Piemonte, che ne ha avute più della Campania e della Toscana, entrambe con 31.

Banca di Asti verso il listino

Anche le azioni della Banca di Asti saranno negoziabili fuori dal borsino interno, cioè su una piattaforma digitale regolamentata e gestita da un ente terzo. Il progetto di ammissione alla trattazione dei titoli della Banca di Asti su un sistema multilaterale (Mtf) è stato approvato dall'ultima assemblea dei soci, che potranno vendere o comprare direttamente, senza affidarsi alla banca stessa. Un bel passo avanti sulla strada della trasparenza e per la liquidità degli strumenti finanziari, come auspicato dalla Consob, che ha formalizzato l'invito alle Popolari e alle Casse di Risparmio non quotate a lasciare che siano domanda e offerta del mercato a determinare il prezzo delle azioni.
Tutti vogliono che non si ripetano casi come quelli della Popolare di Vicenza, i cui azionisti hanno poi scoperto che i loro titoli, tenuti artatamente alti dagli amministratori e non negoziabili, non valevano più nulla e sono diventati praticamente carta straccia.
Banca Sella è stata tra le prime a quotarsi sul borsino Hi-Mtf e il suo esempio è stato seguito, all'inizio del maggio di quest'anno, subito dalla Cassa di Risparmio di Ravenna, di cui possiede una partecipazione pure la Banca del Piemonte, interamente posseduta dalla famiglia Venesio. A breve, seguiranno altri istituti creditizi: i potenziali interessati sono un centinaio, con circa mezzo milione di azionisti.
La Banca di Asti conta circa 23mila soci, che, quest'anno, hanno incassato un dividendo di 17 centesimi per azione, per un totale di 10,2 milioni di euro, distribuiti in seguito all'utile netto di 19,5 milioni, che diventano 28 senza gli esborsi di contributi e oneri per il sostegno del settore.
Banca d'Asti, presieduta da Aldo Pia e guidata da Carlo Mario Demartini, è ormai un gruppo, che, fra l'altro, controlla Biver Banca e Pitagora. Dispone di 113 punti operativi e dà lavoro a quasi 1.900 persone. I suoi impieghi economici (crediti a imprese e famiglie) hanno superato i 6,9 miliardi di euro e la raccolta totale da clientela al 31 dicembre scorso è risultata pari a 13,6 miliardi.
Sportelli della banca astigiana, che conta quasi mezzo milione di clienti, si trovano in tutte le province piemontesi, oltre che in quelle di Milano, Monza-Brianza, Pavia, Aosta e Genova.
Il 37,8% del capitale della Banca d'Asti fa capo alla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, il 13,6% alla Popolare di Milano e il 48,4% a tutti gli altri soci. La quota della Fondazione è destinata a calare notevolmente, dato che il suo valore rappresenta più del terzo dell'attivo consentito dal protocollo che impegna le fondazioni di origine bancaria e che è stato articolato dalla loro associazione, l'Acri, insieme con il ministero dell'Economia e delle Finanze, l'Autorità di Vigilanza.

Quel "caso" di Fossano

I nuovi consiglieri di amministrazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano, appena nominati dal Consiglio di indirizzo - Margherita Beresio, Chiaffredo Rosso, Bruno Olivero, Giacomo Pellegrino e Stefano Viglietta, che si aggiungono ai confermati Silvana Barberis e Federica Panero - dovranno affrontare un problema decisivo per il destino la banca da cui l'ente ha tratto origine e che controlla da sempre. La Fondazione, infatti, possiede il 77% del capitale dell'omonima Cassa di Risparmio e questa partecipazione vale ben oltre il terzo del suo attivo, per cui, secondo il protocollo Acri-Mef, dovrebbe vendere circa il 40% delle azioni della banca, perdendone così il controllo e non potendone più garantire l'indipendenza.
Il protocollo, voluto dall'associazione nazionale delle fondazioni di origine bancaria e dal ministero dell'Economia e delle Finanze, che è l'Autorità di vigilanza degli enti non profit nati in seguito alla Legge Amato, vincola i soggetti firmatari al rispetto della norma che obbliga le fondazioni a non avere più del 33,3% del loro attivo, valutato al "fair value",  investito in un'unico bene e a scendere a questo livello entro il 22 aprile del 2018 se la partecipazione è quotata in Borsa, invece due anni dopo se non lo è.
La direttiva riguarda diverse fondazioni, di ogni dimensione: dalla grande Compagnia di San Paolo, ad alcune piccole cuneesi, come, appunto, quella di Fossano, ora presieduta da Gianfranco Mondino, subentrato ad Antonio Miglio, non più rieleggibile avendo compiuto tutti i mandati possibili. Proprio Miglio, però, è stato uno dei due o tre presidenti che non hanno sottoscritto il protocollo del Mef e dell'Acri, di cui pure è stato un esponente apicale.
Nonostante la mancata adesione, però, la Fondazione fossanese potrebbe essere sollecitata a cedere il controllo della sua Cassa di Risparmio. Ne è ben consapevole, fra gli altri, il presidente della Banca, Giuseppe Ghisolfi, vice presidente della stessa Acri e, fra l'altro, consigliere dell'Abi, l'associazione nazionale delle banche. Ghisolfi, qualche mese fa, si dichiarava fiducioso sulla soluzione del problema, senza aggiungere altro.
La Cassa di Risparmio di Fossano, diretta da Enzo Libero e partecipata al 23% da Bper, ha chiuso il 2016 con una raccolta diretta di oltre 1,5 miliardi di euro, impieghi alla clientela per un miliardo e un utile netto di 6,4 milioni. L'omonima Fondazione, che l'anno scorso ha erogato 1,466 milioni, al 31 dicembre 2015 aveva un patrimonio netto di 52,8 milioni.

Altavilla corre con la Tipo

Aveva ragione, Alfredo Altavilla, uno dei principali collaboratori di Sergio Marchionne, di cui è considerato un potenziale successore, a manifestare la sua fiducia nel successo della nuova Fiat Tipo, in occasione del lancio della berlina che aveva suscitato qualche scetticismo nel mondo dell'automobile, soprattutto per la sua impostazione classica e la linea tradizionale. La Fiat Tipo, infatti, è diventata la terza vettura più acquistata in Italia (21.695 nuove immatricolazioni nei primi quattro mesi di quest'anno), superando anche la Renault Clio e, con la sua versione specifica, ha conquistato il primo posto delle familiari o station wagon con più clienti nel nostro Paese (dall'inizio di gennaio alla fine di aprile ne sono stati venduti 6.874 esemplari, oltre 3mila più dell'Audi A4, seconda classificata).
La nuova Tipo, costruita dalla controllata turca Tofas, di cui il manager Fca - Fiat Chrysler Automobiles è stato amministratore delegato. "tira", oltre le previsioni e tanto che Fiat ha dovuto chiedere aumenti della produzione ai fornitori, ben contenti delle commesse aggiuntive.
Alfredo Altavilla, nato nel '63 a Taranto, ma torinese da parecchi anni, fa parte del Gec- Group Executive Council, il ristrettissimo organo a capo del Gruppo Fca, oltre a essere Head of Business Development e Chief Operating Officer Emea, cioè il responsabile operativo delle attività di Fiat-Chrysler in Europa, Medio Oriente e Africa. A lui, laureato in Economia e commercio alla Cattolica di Milano, vengono attribuiti non pochi meriti anche per le affermazioni internazionali della nuova Giulia Alfa Romeo, della Fiat 124 Spider e della Maserati Levante.
Figlio di un concessionario Lancia-Autobianchi, Alfredo Altavilla ha sempre amato le quattroruote e ha coronato un suo sogno quando, nel 1990, è stato assunto in Fiat Auto, dove ha incominciato la sua carriera. Già nel 1995 era responsabile dell'ufficio di Pechino e, quattro anni dopo, delle attività in Asia. Poi ha avuto il coordinamento dell'alleanza con General Motors e, nel 2004, la presidenza della Powertrain, joint venture con il colosso di Detroit per i motori diesel.

In testa per compravendite di case

L'ha confermato anche il sondaggio fatto dalla Banca d'Italia, tra la fine di marzo e quella di aprile, coinvolgendo oltre 1.400 agenzie immobiliari: il mercato della casa è in ripresa anche in questa prima parte del 2017 e gli operatori del settore sono fiduciosi sulla continuità della tendenza favorevole nel breve e nel medio termine. Aumentano le vendite e i potenziali acquirenti, mentre si riducono i tempi delle trattative e il calo dei prezzi sta rallentando; gli sconti sono scesi al 12% rispetto al prezzo richiesto, un paio di punti in meno rispetto a un anno fa e di quattro punti nei confronti di due anni fa.
Nel 2016, gli immobili venduti in Italia sono stati più di un milione, per la prima volta dal 2011. Per la precisione, sono stati 1.141.012, tenendo conto di tutti i comparti: residenziale, terziario, commerciale, produttivo e pertinenze.
In particolare, sono ammontate a 533.741 le compravendite di abitazioni, con un incremento del 18,9%, che si aggiunge alle crescite del 6,5% nel 2015 e del 3,5% nel 2014. Naturalmente è aumentato anche il valore complessivo delle transazioni per i passaggi di proprietà: dai 76 miliardi di euro nel 2015 agli 89 miliardi dell'anno scorso.
Tra le tre regioni del Nord Ovest è la Valle d'Aosta quella che ha registrato il maggior incremento percentuale di compravendite, con il suo 24,6%, superiore al 23,8% della Liguria e al 22,8% del Piemonte. Torino, però, è risultata la prima tra le otto metropoli nazionali: nel capoluogo si sono contate 12.342 compravendite di case (+26,4% sul 2015), a fronte del 23,7% di Bologna, seconda, e di Genova, terza, con il 22,9% (6.631 passaggi di proprietà). Le altre grandi città - Roma, Milano, Napoli, Palermo, Firenze - hanno mostrato tutte tassi minori. Comunque, a Roma le compravendite 2016 sono state 30.253 e a Milano 21.978.
Delle abitazioni che hanno cambiato proprietario, nell'anno passato, quasi la metà (246.182) sono state comprate con un mutuo ipotecario, del valore medio vicino ai 120.000 euro. Le erogazioni dei mutui sono aumentate del 27,3% rispetto al 2015, grazie certamente all'ulteriore calo dei tassi d'interesse, finiti al 2,31% (il trend, però, si sta invertendo).
Tutti questi dati sono stati resi noti dall'Osservatorio del mercato immobiliare, realizzato dall'Agenzia delle Entrate, in collaborazione con l'Abi, l'associazione nazionale delle banche. L'Osservatorio, inoltre, ha rilevato 1.690.520 nuovi contratti di locazione nel 2016, in tutto il Paese (+1,3% sul 2015), per un totale di 1,7 milioni di immobili affittati. In media, la loro superficie è di 92 metri quadrati e il canone annuo di 60,7 euro per metro quadrato.
Però, a Torino i nuovi affitti prevedevano un canone annuo di 77,4 euro a metro quadrato in caso di contratti con durata di oltre tre anni (65,2 euro a Genova) e di 82,3 euro con durata invece inferiore (82,6 euro nella città con la Lanterna).

De Benedetti cresce nella sanità

In sviluppo il business dei De Benedetti nella sanità socio-assistenziale. Il gruppo Kos, controllato dalla Cir e partecipato da F2i Healthcare, è già diventato uno dei maggiori italiani nel settore (gestisce 77 strutture, molte delle quali in Piemonte e in Liguria, per un totale di 7.300 posti letto, conta oltre 5.600 dipendenti ed è attivo anche in India e nel Regno Unito) e continua a migliorare i propri risultati. Dall'inizio di gennaio alla fine di marzo, ha registrato ricavi per 117,5 milioni di euro (+3,6% rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso) e ha conseguito un utile netto di 4,6 milioni, a fronte dei 4,4 precedenti.
Nell'intero 2016, Kos, che sta arrivando a rappresentare quasi il 20% del gruppo Cir, ha avuto ricavi per poco più di 461 milioni, ancora una ventina più che nel 2015. L'utile netto 2016 è ammontato a 23,4 milioni, in crescita del 18,2% sui 19,8 milioni dell'esercizio precedente. Kos si occupa di residenze sanitarie-assistenziali, centri di riabilitazione, cure oncologiche, diagnostica e gestioni ospedaliere. Fra l'altro, nell'esercizio passato ha acquisito il controllo di una struttura di riabilitazione psichiatrica nelle Marche e ha avviato il suo primo centro di riabilitazione in India.
Il gruppo Cir ha Rodolfo De Benedetti, primogenito di Carlo, come presidente della holding, nel cui consiglio di amministrazione siede anche Claudio Recchi, al vertice dell'omonima impresa e consigliere pure di Aon Italia e dell'Ipi (Segre).


Altruda alla miliardaria Diasorin

Nuovo riconoscimento professionale per la torinese Fiorella Altruda, fra l'altro direttrice del Centro di Biotecnologie molecolari dell'Università sotto la Mole: è stata eletta nel Consiglio di amministrazione della Diasorin dall'ultima assemblea dei soci, il primo dei quali è il tycoon subalpino Gustavo Denegri con il 44,9% del capitale. E per avere un'idea di quanto valga questa quota basta aggiungere che alla chiusura di venerdì 19 maggio, Diasorin capitalizzava in Borsa 3,78 miliardi di euro (il prezzo dell'azione era di 68,2 euro, ancora il 33,8% in più rispetto all'anno prima).
Leader globale nella produzione di test diagnostici, sede a Saluggia, nella pianura vercellese, Diasorin conta circa 1.700 dipendenti e nel 2016 ha fatturato 569,3 milioni di euro, guadagnandone 112,6, tanto da poter distribuire agli azionisti (secondo, con il 4,3%, è il brillante amministratore delegato, Carlo Rosa) un dividendo complessivo di 43,8 milioni. Un'impresa in continuo sviluppo, come confermano i risultati del primo trimestre 2017, quando Diasorin ha conseguito ricavi netti per 157,5 milioni (+24,5% nei confronti di gennaio-marzo 2016) e un utile netto di 32,9 milioni (+33,2%), con una posizione finanziaria netta salita a 114,1 milioni.
Adeguatissima al nuovo ruolo affidatole dal vertice della Diasorin (vice presidente è Michele Denegri, figlio del fondatore), Fiorella Altruda, laureata in Biologia, insegna Genetica molecolare nell'Università di Torino, dove ha iniziato la carriera accademica trent'anni fa. Aggiunge il nuovo incarico a diversi altri, fra i quali spiccano la presidenza del Bioindustry Park di Collereto Giacosa, il coordinamento dell'European Master in Biolhealth Computing per l'Ateneo cittadino, che la vede anche componente del suo Senato. Inoltre, fa parte del Consiglio di amministrazione della Fondazione CentroScienza e del Cib - Consorzio interuniversitario di Biotecnologie. Per dieci anni, fino al 2015, è stata presidente della Scuola di Biotecnologie e per sette coordinatrice del Polo di Innovazioni-Biotecnologie della Regione Piemonte.

Fondazioni: Spezia prima, Crt terza


Grazie al suo patrimonio netto di 194,2 milioni di euro a fine 2016, ancora uno in più rispetto al 31 dicembre 2015, la Fondazione Carispezia, presieduta da Matteo Melley dal 2001, ha rafforzato la sua leadership tra le fondazioni liguri di origine bancaria. Seconda si è classificata la fondazione savonese Agostino De Mari con 112,4 milioni e ultima la Fondazione Carige con 55,6 milioni, cifra che la relega nella fascia delle più piccole a livello nazionale.
Nel 2016, la Fondazione Carispezia ha conseguito un avanzo di 5,2 milioni (non si può parlare di utile netto, trattandosi di ente non profit), a fronte dei 2,2 milioni della De Mari, che ha come nuovo presidente Federico Delfino, mentre Fondazione Carige ha dichiarato un disavanzo (perdita) di 9,6 milioni. Questo disavanzo è il quarto consecutivo. Gli oneri(costi) totali sono stati pari a 2,2 milioni per la fondazione spezzina, 1,1 per la savonese e 3,3 per quella genovese.
La Fondazione guidata da Melley è risultata anche la più generosa nei confronti della sua area di riferimento; infatti, nell'esercizio passato, ha deliberato erogazioni per 5,2 milioni, 2 più della De Mari, ben diretta da Giulio Tarasco. A Genova, invece, sono stati deliberati stanziamenti per meno di mezzo milione.
In Liguria, comunque, opera anche la ricchissima Compagnia di San Paolo,la quale ha, per statuto, la regione rivierasca come territorio di pertinenza, oltre che, naturalmente, il Piemonte.
A livello nazionale, la graduatoria basata sui patrimoni netti emersi al 31 dicembre 2016 evidenzia una sorpresa: il terzo posto della torinese Fondazione Crt, la quale ha scalzato dal podio la Fondazione Cariverona. Un sorpasso storico. Il patrimonio della Fondazione Crt è salito a 2,170 miliardi di euro, mentre quello dell'ente scaligero è sceso a 2,055 miliardi. Nella piazza d'onore s'è confermata la Compagnia di San Paolo (5,884 miliardi, un'ottantina in più rispetto al fine 2015) e in testa, ancora, la Fondazione Cariplo, nonostante il calo da 6,851 a 6,820 miliardi, che comunque garantisco il primato all'ente presieduto dall'inossidabile Giuseppe Guzzetti,
Fondazione Cariplo, prima in Italia da quando esistono questi enti nati in seguito alla Legge Amato, è stata l'unica delle dieci più grandi, a presentare il bilancio 2016 in rosso: il suo disavanzo è stato di 30,9 milioni, che contrasta in modo particolare con l'avanzo di 267,5 milioni della Compagnia di San Paolo, presieduta da Francesco Profumo.
Tornando alla classifica nazionale per patrimonio netto al 31 dicembre 2016, al quarto posto si trova appunto la Fondazione Cariverona e al quinto la Fondazione Cariparo (Padova e Rovigo) con poco meno di 1,874 miliardi. Seguono, nell'ordine: le Fondazioni di Firenze (1,630 miliardi), Roma, Cuneo (1,304), Carilucca (1,189) e Cariparma, che chiude la top ten con 1 miliardo.




"Subalpini" 2017

Luca Filippone, direttore generale di Reale Mutua, Marco Gay, poliedrico imprenditore torinese che ha lasciato da poco la presidenza nazionale dei Giovani di Confindustria, non essendo più rieleggibile al termine del secondo mandato e Luciano Mattioli, a capo dell'omonima azienda di gioielli con la figlia Licia: sono tre dei nuovi soci 2017 del Circolo Subalpino, tra i più prestigiosi, esclusivi ed ambiti di Torino. Farvi parte è un onore riservato a pochi. Bisogna esserne giudicati degni, da una commissione attenta e rigorosa. Al Subalpino non ci si candida, si entra su invito. E con soci che garantiscono su caratteristiche e doti, che vanno dall'eccellenza nel proprio campo di attività, alla riconosciuta posizione sociale, all'onesta, al comportamento decoroso, al buon cuore.
Al Subalpino, fondato nel 1949 da Remo Morone, che l'ha presieduto fino al 1960, si trova il fior fiore piemontese degli avvocati, dei commercialisti, dei medici, dei professori universitari, degli imprenditori, dei liberi professionisti, dei manager e non solo. Grandi personalità che hanno come appuntamento tradizionale il martedì, nelle sale auliche di un palazzo storico di corso Vittorio Emanuele, dove normalmente si cena, velocemente, sobriamente e dandosi rigorosamente del tu, a prescindere dall'età e dagli incarichi ricoperti. Le relazioni sono improntate all'amicizia, alla reciproca disponibilità e benevolenza. Clima sempre piacevole.
Il numero degli iscritti è costantemente contenuto intorno ai 150. Il presidente resta in carica ed è rinnovabile solo per un altro anno. Attualmente a presiedere il Subalpino è il professor Giovanni Gandini, direttore del dipartimento assistenziale di Diagnostica per immagini alla Città della Salute di Torino. E' stato confermato recentemente dall'assemblea, che ha anche eletto consiglieri Silvio Dolci, Gian Mario Giachino, Guglielmo Giordanengo, Paolo Montalenti, Lodovico Passerin d'Entreves, Giuseppe Poli, Luigi Puddu, Mauro Rinaldi, Giovanni Succo ed Emilio Rossi, Confermato anche il collegio dei probiviri, formato da Carlo Luda di Cortemiglia, Lionello Jiona Celesia e Giovanni Zanetti.

Fideuram, record con rimpianto

Nuovo record di Banca Fideuram, leader in Italia nel settore del risparmio gestito e quarta maggiore nell'intera area Euro. Al 31 marzo, infatti, il totale delle masse amministrate dall'istituto torinese che fa parte del colosso Intesa Sanpaolo, ha superato, per la prima volta, la soglia dei 200 miliardi di euro, raggiungendo quota 202,9 miliardi, ancora 4,8 in più rispetto al 31 dicembre 2016. Annunciando questo ambizioso risultato, con soddisfazione non celata, il presidente Matteo Colafrancesco e l'amministratore delegato Paolo Molesini, hanno aggiunto che il primo trimestre si è chiuso con una raccolta netta totale di oltre 2,3 miliardi (+24% rispetto al corrispondente periodo 2016), un utile netto consolidato di 224 milioni (+5%) e il Cet1 - principale indice di solidità - al 16%.
Per Torino, tristemente orfana dello storico "Sanpaolo", Banca Fideuram potrebbe essere motivo d'orgoglio, dato che la sede legale è sotto la Mole, proprio al 156 di Piazza San Carlo, nell'aulico palazzo che ha ospitato il quartier generale del gruppo Sanpaolo prima della sua fusione con la milanese Intesa, allora guidata da Corrado Passera.
Potrebbe, ma non è, perché la sede amministrativa di Banca Fideuram (5.878 private banker, 30 più che a fine 2016) resta a Roma, nonostante le aspettative di diversi torinesi nostalgici, i quali guardano con sospetto anche la sede secondaria nel capoluogo lombardo e sono ben consapevoli dei vantaggi che deriverebbero a Torino dal trasferimento delle attività principali in città, degna e adeguata a ospitarle.
C'è chi confida ancora nella Compagnia di San Paolo, maggiore azionista di Intesa San Paolo (fino a quando?). A ragione?

Fiat tradita da Asti e Novara

In aprile, nella provincia di Cuneo si sono vendute più auto nuove che in quella di Genova: 1.414 le nuove immatricolazioni nella prima, a fronte delle 1.390 della seconda. Nel mese precedente, invece, era successo il contrario. Comunque, i Pra della Granda e sotto la Lanterna, hanno continuato a registrare un numero di targhe nuove di gran lunga inferiore a quello della piccola Aosta (4.742), favorita dai benefici fiscali offerti e colti soprattutto dai gestori delle flotte.
Insieme, le tre regioni del Nord Ovest hanno contato, nel mese appena passato, 24.656 nuove immatricolazioni, pari al 15,37% del totale nazionale. Oltre la metà delle nuove targhe sono state consegnate nella provincia di Torino (12.491), quella che, a livello italiano, ne distribuisce di più dopo Bolzano, anch'essa a tassazione agevolata.
Per quanto riguarda le nuove immatricolazioni nelle altre province del Nord Ovest, l'Unrae, l'unione che rappresenta le marche autoveicolistiche nel nostro Paese, ha riferito che Alessandria ne ha fatte registrare 962, Novara 831, Savona 489, Asti 445, La Spezia 430, Biella 419, Verbania 369, Vercelli 357 e Imperia, fanalino di coda, 317.
Le province di Asti e di Novara sono le uniche due dove la marca Fiat non è risultata al primo posto per numero di nuovi acquirenti, nel mese scorso. Ad Asti è stata superata dalla Renault (81 contro 56) e a Novara dalla Volkswagen (90 contro 84).

La miniera dei Gavio

E' una miniera d'oro, il Nord Ovest, per il gruppo Gavio. Le "sue" autostrade continuano a incassare un sacco di soldi. La conferma più recente si trova nei dati relativi al primo trimestre di quest'anno, quando le società del gruppo alessandrino che gestiscono la rete autostradale in concessione hanno conseguito ricavi netti da pedaggio per 221,364 milioni di euro, 5,6 milioni in più rispetto al corrispondente periodo del 2016.
A rendere più di tutte è stata ancora l'autostrada Torino-Milano (59 milioni dal primo giorno di gennaio all'ultimo di marzo), gestita dalla Satap, come la Torino-Piacenza (39,7 milioni). Gli altri maggiori incassi sono arrivati dai caselli delle tratte Sestri Levante, Viareggio-Lucca e Fornola-La Spezia, per le quali opera la Salt (37,4 milioni), poi da quelli della Savona-Ventimiglia della Adf-Autostrada dei Fiori (32,5 milioni), ad alta intensità di traffico e, quasi interamente, senza la corsia d'emergenza. La Cisa (La Spezia-Parma) ha incassato 18 milioni, la Sav (Quincinetto-Aosta) 16,1 e l'Ats (Torino-Savona) poco meno di 14,3 milioni. Fanalino di coda l'Asti-Cuneo, da completare, con 4,1 milioni.
A occuparsi del business autostradale dei Gavio sono le società Astm e Sias, entrambe quotate sul listino di Piazza Affari (a quando la fusione delle due?). Astm, la capogruppo del settore, è presieduta da Gian Maria Gros-Pietro, il quale ha lo stesso incarico in Intesa Sanpaolo. Astm possiede il 61,7% della Sias, nel cui consiglio di amministrazione sono stati confermati anche Licia Mattioli e Giovanni Quaglia, vice presidente di Confindustria la prima e numero uno della Fondazione Crt, oltre che dell'Autostrada Torino-Savona, il secondo. Daniela Gavio è vice presidente sia della Sias sia dell'Astm, la quale ha tra i suoi amministratori altri componenti della famiglia, il notaio Caterina Bima e l'avvocato Marco Weigmann.

Morosi per altri 6 miliardi

Sei miliardi di euro. E' il valore complessivo degli oltre tre milioni di crediti scaduti e in "sofferenza" che le società aderenti a Unirec hanno avuto il mandato di recuperare, l'anno scorso, nelle tre regioni del Nord Ovest: 4,450 miliardi in Piemonte, 1,429 miliardi in Liguria e 137 milioni in Valle d'Aosta. Somme tutte superiori a quelle del 2015, quando le associate a Unirec, organizzazione che rappresenta oltre l'80% delle aziende operanti in Italia nel settore della riscossione dei prestiti non onorati tempestivamente: rate scadute di mutui, carte di credito revolving, canoni di leasing, bollette del telefono, piuttosto che del gas, dell'energia o dell'acqua; polizze assicurative, tasse, contratti per l'acquisto di beni di largo consumo.
Nel 2015, infatti, avevano ricevuto mandati per un totale di 5,229 miliardi di euro. Allora, in particolare, le nuove morosità da recuperare ammontavano a 3,838 miliardi di euro in Piemonte, a 1,292 miliardi in Liguria e a 99 milioni in Valle d'Aosta.
Quanto ai risultati ottenuti nel Nord Ovest, l'anno scorso, in seguito alla loro attività, Unirec ha riferito che le sue associate sono riuscite a farsi pagare oltre un milione di rate scadute, per un valore di 738 milioni di euro, 570 dei quali incassati in Piemonte, 155 in Liguria e 13 in Valle d'Aosta.
A livello nazionale, la somma recuperata, per conto dei creditori, è stata di 8,191 miliardi di euro, a fronte dei 9,419 miliardi del 2015 e i 9,672 miliardi del 2014; mentre, nel 2016, ha superato i 69 miliardi il valore delle nuove morosità (35,654 milioni) che le società Unirec hanno avuto il compito di cercare di far rientrare, 10,4 miliardi di euro in più rispetto al 2015 e 13,1 miliardi più che nel 2014.
Dai confronti emerge chiaramente continuano le difficoltà delle famiglie e delle imprese a onorare i propri impegni finanziari, nel Nord Ovest come nel resto del Paese. Un effetto della gravissima crisi economica, incominciata a cavallo del 2007-2008 e non ancora finita.    

La principessa degli yacht

E' la principessa della nautica italiana. E, come tale, è stata trattata anche dal Corriere della Sera, che, le ha dedicato uno spazio notevole e un ritratto lusinghiero dell'inserto settimanale L'Economia, nel primo numero di maggio. Naturalmente, il soggetto in questione è la torinese Giovanna Vitelli, vice presidente di Azimut-Benetti e di Nautica Italiana, l'associazione che rappresenta oltre 80 imprese del settore, alle quali si deve circa l'80% del fatturato della cantieristica nazionale da diporto.
Nell'articolo, fra l'altro, Giovanna Vitelli ha anticipato che Azimut-Benetti, leader mondiale nel comparto degli yacht di lusso con lunghezza sopra i 24 metri, nei primi quattro mesi dell'esercizio in corso ha raccolto nuovi ordini per 221 milioni di euro, con una crescita superiore alle aspettative e a conferma del trend positivo; inoltre, quest'anno lancerà sei nuovi modelli, così che la gamma d'offerta diventerà di 32 e, sei mesi fa, ha consegnato il suo primo yacht di oltre cento metri, entrando nella nicchia dei giganti del mare, sfidando la concorrenza tedesca e olandese.
Giovanna Vitelli, 42 anni, due figli, laurea con lode in Giurisprudenza nel capoluogo piemontese, fino al 2004 ha esercitato la professione di avvocato nel prestigioso studio milanese Bonelli Erede Pappalardo.  In Azimut-Benetti, ha assunto incarichi operativi e direttivi di sempre maggiore responsabilitàLa principessa degli yacht e ora affianca il padre Paolo, fondatore e presidente. Sette cantieri (storico è quello di Avigliana, nella cintura torinese), un paio di migliaia di dipendenti diretti, l'impresa che è controllata dalla famiglia Vitelli ed ha come socio di minoranza Tamburi con il 12%, Azimut-Benetti ha fatturato 710 milioni di euro nell'esercizio 2015-2016 e nel suo piano triennale ha previsto investimenti per 100 milioni.

Un savonese in ritirata

Come direbbe Maurizio Crozza: non ci credo, ma dicono che non sia stata versata neppure una lacrima nella Bim, Banca Intermobiliare, quando Gianpaolo Provaggi ha presentato le sue dimissioni da vice presidente e consigliere di amministrazione, incarichi conquistati solo pochi mesi fa. Dimissioni con effetto immediato e giustificate con la seguente motivazione ufficiale, certamente inusuale: "in ragione del dissenso più volte espresso nelle riunioni consiliari".
Gianpaolo Provaggi, rampante commercialista del Savonese, era arrivato in Bim, travagliata banca private torinese, dopo essere uscito (non si sa spontaneamente o "spintaneamente") dal consiglio di amministrazione di Banca Carige, altro istituto che sta vivendo un periodo particolarmente difficile e complicato. E nel vertice della banca genovese era entrato in seguito all'attività di consulente primario di Fondazione Carige, che fino al 2014 la controllava saldamente e ora, invece, ne possiede meno del 2% del capitale.
Dicono che anche a Genova, in via Cassa di Risparmio e in via Chiossone, dove si trovano le sedi dei due enti con marchio Carige, nessuno abbia pianto in seguito all'abbandono di Provaggi, ma forse non è vero. Comunque, i tre passaggi del Savonese non rievocano buoni ricordi, se non altro perché coincidono con crisi dei soggetti che lo hanno visto all'opera, e ingenerano leciti interrogativi sulle promozioni delle designazioni.

Quei dividendi troppo generosi

In questo periodo, tanti proprietari di azioni di società quotate stanno incassando i frutti annuali dei loro investimenti in Borsa. Cedole spesso ricche e, in qualche caso, molto ricche. Per un totale stimato in oltre 17 miliardi di euro. D'altra parte, alcuni amministratori hanno proposto la distribuzione dell'intero utile disponibile dopo gli accantonamenti obbligatori e altri hanno persino attinto alle riserve, pur di remunerare bene il capitale. E le assemblee hanno approvato, certamente con diffusa soddisfazione. Tra i votanti a favore, non pochi hanno forse pensato: "meglio un uovo oggi ...". Dimenticando una lezione di Luigi Einaudi, grande economista, grande banchiere, grande uomo di Stato e grandissimo saggio.
Luigi Einaudi raccomandava di distribuire sempre una parte limitata dei profitti conseguiti nell'esercizio. Molto meno della metà. Giusto remunerare il capitale di rischio; ma doveroso, imprescindibilmente, destinare la stragrande maggioranza degli utili al rafforzamento patrimoniale. Un patrimonio netto elevato è garanzia di solidità, è un'assicurazione "contro le sorprese del destino", consente e favorisce lo sviluppo dell'impresa, senza indebitarsi.
Oggi, come nel passato recente, troppi trascurano lo stato patrimoniale preferendo concentrarsi sul conto economico; guardano soprattutto la redditività, il breve termine invece del lungo. Una miopia pericolosa, che colpisce la categoria dei top manager e, in particolare, il segmento dei "mercenari," specializzati nel ricavare il massimo dei benefici personali dall'azienda, poli lasciata, con la massima tempestività, indebolita e più povera. E' uno degli effetti disastrosi della prevalenza, per non dire prevaricazione, della finanza. Su tutto il resto.
Chi ha il vero spirito imprenditoriale, il vero creatore di benessere e di ricchezza, pensa e opera per la crescita del patrimonio, per lo sviluppo duraturo. I dividendi spropositati, invece, sono regali agli speculatori e agli azionisti inconsapevoli o irresponsabili; perché sono risorse sottratte al tesoro dell'impresa, pregiudicandone la forza, la competitività, le potenzialità, le opportunità.
Elargire dividendi generosi e poi fare aumenti di capitale è una presa in giro: si danno soldi, che poi vengono richiesti indietro, con gli interessi. E' già successo, anche recentemente. Azionisti prima illusi, poi depauperati. Un prezzo pagato da chi dimentica Luigi Einaudi.

 

Carli a macchia d'olio

La stessa gioia di un bambino in un bel negozio di giocattoli o di una donna in un elegante  e fornitissimo negozio di scarpe. Ecco quello che prova l'amante di gastronomia in un emporio della Fratelli Carli, uno dei nove aperti finora nel Nord Italia, il più recente dei quali all'Oriocenter, lo shopping center che si trova a due passi dall'aeroporto di Orio al Serio-Bergamo ed è forse più famoso del nostro Paese.
Negli empori Carli si trova una sterminata gamma di prodotti alimentari, naturalmente a partire da quelli che hanno come base l'olio e le olive, ma anche gli altri cibi della tradizione ligure e mediterranea, oltre che vini e aceti, dolci e varie golosità e persino articoli di una linea speciale per la cura personale. Insomma, una fonte di benessere e di piaceri, in un ambiente molto gradevole.
E questo spiega il successo degli empori della Fratelli Carli, che sempre più stanno contribuendo allo sviluppo dell'impresa imperiese fondata nel 1911 dall'omonima famiglia, che ne mantiene saldamente il controlla e la guida (Gianfranco Carli è il presidente e amministratore delegato, il figlio Carlo neo direttore generale e la figlia Claudia direttrice Comunicazione e Marketing).
La Fratelli Carli, infatti, nel 2016 ha fatturato circa 155 milioni di euro, facendo segnare un ulteriore aumento dei ricavi rispetto al 2015, quando aveva una redditività del 3,82% (roe) e contava oltre 320 dipendenti.
Il primo Emporio della Carli è stato inaugurato 2010, logicamente a Imperia, a fianco dello stabilimento e del Museo dell'Olio. Poi, è stata la volta di Torino, Padova, Milano, Cuneo, Bologna, Monza, Como e, appunto, Orio al Serio. La scelta del decimo è ancora top secret.
La Fratelli Carli è nata 106 anni fa dall'idea di Giovanni Carli, uno dei sei figli del tipografo Carlo. L'allora ventenne Giovanni ottiene il permesso di andare a vendere l'olio prodotto in abbondanza dagli oliveti di famiglia non ai commercianti locali, come si era sempre fatto, ma direttamente alle famiglie piemontesi raggiunte in bicicletta. Funziona. L'anno successivo pubblica il primo listino e lo invia ai clienti, sempre più numerosi. Ordini e consegne per corrispondenza. La Fratelli Carli diventa fornitrice persino della Real Casa, con l'investiture ufficiale di Vittorio Emanuele.
E' nel 1965, invece, che viene avviata la rete di consegnatari dotati dei furgoni verdi con il marchio Fratelli Carli, mezzi che si vedono distribuire i prodotti Carli in tutt'Italia, venduti però anche in numerosi altri Paesi.

Nuovi dolori per i liguri

Nuovi dolori. A procurarli al mondo ligure del non profit - associazioni ed enti che operano in vari campi, dal socio-assistenziale ai beni culturali e artistici, dalla sanità alla beneficenza - è la lettura del bilancio 2016 di Fondazione Carige, non ancora oggetto di comunicato stampa ma che si può trovare sul sito dell'istituzione con sede a Genova, in via Chiossone, di fronte all'ingresso destinato al personale di quella che era la sua banca, la Cassa di risparmio di Genova e Imperia, della quale oggi possiede meno del 2% del capitale.
Nel 2016, Fondazione Carige ha perso altri 9,6 milioni di euro. Dopo il rosso di 4,7 milioni del 2015, i 217,7 del 2014 e la perdita monstre di 914,5 milioni denunciata nel bilancio 2013, il primo approvato da Paolo Momigliano, eletto presidente il 3 dicembre di quell'anno e confermato nella carica il 14 aprile dell'anno scorso. Oltre un miliardo negli ultimi quattro anni. Di conseguenza, il patrimonio netto della Fondazione è precipitato a 55,6 milioni, tale da relegare l'ente ligure nelle ultime posizioni della graduatoria nazionale del settore, mentre, in passato è stato fra i dodici di testa.
Però, non sono soltanto le perdite di quattro anni consecutivi e il patrimonio ridotto ai minimi termini, a far discutere e a preoccupare quanti ricordano il ruolo rilevante, strategico, che Fondazione Carige ha avuto per la regione e, soprattutto, per le province di Imperia e del capoluogo con la Lanterna.
Fra l'altro, infatti, l'ultimo bilancio evidenzia che, a fronte di proventi ordinari inferiori ai 6 milioni nell'esercizio, si trovano oneri per quasi 3,3 milioni. Somma, quest'ultima, alla quale hanno contribuito i 301.531 euro dovuti per i compensi e i rimborsi spese degli organi statutari (il presidente è costato 48.125 euro, il Consiglio di amministrazione 77.129 e il Consiglio di indirizzo 51.077) e i 767.912 euro spesi per consulenti e collaboratori esterni.
Non solo: le erogazioni deliberate nel corso del 2016 per l'attività istituzionale, cioè gli stanziamenti per gli interventi a favore delle comunità locali, sono stati pari a 458.062 euro. Una cifra che, affiancata alle altre, la dice lunga, anzi lunghissima. E a qualcuno viene in mente "ma se ghe pensu". Meno male, per Genova e Imperia, che c'è la Compagnia di San Paolo, che interviene con milioni di euro all'anno.
 

Lapo senza Tessitore

Andrea Tessitore, brillante e giovane imprenditore torinese (è nato il 25 maggio 1973) ha lasciato Italia Independent Group, l'impresa di cui è stato fondatore insieme con Lapo Elkann, il quale ne mantiene il controllo con il 63,8% del capitale (un altro 8,6% fa capo al fratello John, presidente di Fca - Fiat Chrysler Automobiles; mentre il 6,2% è detenuto dalla DueG Holding e il 18,8% è frazionato sul mercato). Andrea Tessitore si è dimesso dalla carica di consigliere di amministrazione, fra l'altro poco dopo che era stato nominato vice presidente, in seguito alla cooptazione di Giovanni Carlino come amministratore delegato, responsabilità che gli è stata confermata dagli azionisti nell'assemblea dell'8 maggio.
Nella stessa riunione, durante la quale è stato approvato il bilancio 2016 (fatturato pari a 27,7 milioni di euro, perdita di 12,2 milioni, indebitamento netto di 18,2 milioni al 31 dicembre), i soci di Italia Independent Group, quotata in Borsa nel segmento Aim, hanno anche deliberato di non sostituire Tessitore, riducendo a sette il numero dei consiglieri di amministrazione.
Un altro torinese, noto non soltanto nel capoluogo piemontese, che si è da poco dimesso da consigliere di amministrazione di una società quotata a Piazza Affari e tra la maggiori italiane in campo assicurativo, la Vittoria Assicurazioni, è Lodovico Passerin d'Entrèves, il quale è stato molto ringraziato, per l'attività svolta, dal Consiglio, che, anche in questo caso, ha deliberato di non cooptare un nuovo amministratore.
Vittoria Assicurazioni, controllata dalla famiglia torinese Acutis, che esprime il vertice della capogruppo (presidente onorario è Carlo Acutis, mentre presidente operativo è il figlio Andrea e la figlia Adriana componente del Cda), nel primo trimestre 2017, a livello consolidato, ha incassato premi per 312,4 milioni (+4,6% rispetto al corrispondente periodo 2015) conseguendo un utile netto di 21,8 milioni (il patrimonio netto è salito a 759,1 milioni).



Auci torna sotto la Mole

E' romano, ma a Torino ha vissuto per diversi anni, per lavoro, sempre apprezzato. Sotto la Mole, città che gli è sempre piaciuta, Ernesto Auci, è tornato più volte e, dai prossimi giorni, tornerà ancora più spesso. D'ora in avanti, come onorevole. E' lui, infatti, che subentra a Maurizio Baradello, deputato mancato il 9 maggio, a soli 56 anni. Alle elezioni del 2013, Auci era risultato il secondo dei non eletti di Scelta Civica, il partito che aveva mandato in Parlamento, per il collegio torinese, Paolo Vitelli, il patron dell'Azimut poi dimessosi, nel 2015.
Ernesto Auci, 71 anni, tesserino da giornalista professionista dal 1970, presiede First Online, prestigiosa testata d'informazione web che ha fondato e di cui è azionista, oltre che editorialista. Ernesto Auci è stato direttore responsabile del Sole 24 Ore, dal 1997 al 2001, quando il quotidiano con la carta color salmone vendeva oltre 300.000 copie al giorno, era la bibbia del sistema economico italiano e gareggiava con il Financial Times. Del Sole è poi stato amministratore delegato, come lo è stato successivamente di Itedi-La Stampa, per un paio d'anni, prima di assumere, nel 2005, la responsabilità dei Rapporti istituzionali della Fiat.
Per il gruppo industriale torinese, Auci aveva già lavorato, dal 1992 al 1997, con l'incarico di direttore della Comunicazione. Lo aveva chiamato a Torino l'avvocato Agnelli, che lo stimava molto, prelevandolo da Confindustria, dove Auci è stato responsabile delle Relazioni esterno prima con la presidenza di Lucchini e, infine, con quella di Sergio Pininfarina.

Torino batte Milano 2 a 0

Torino batte Milano 2 a 0. Almeno nel "triangolare" 2016 delle Fondazioni di origine bancaria. Il risultato emerge dai bilanci, appena pubblicati. La Compagnia di San Paolo ha chiuso l'esercizio passato con un avanzo (tale è definito l'utile, trattandosi di un ente non profit) di 267,5 milioni di euro; la Fondazione Crt ha dichiarato 34,5 milioni, mentre la milanese Fondazione Cariplo ha denunciato un disavanzo (perdita) di 30,9 milioni.
Per la Fondazione Cariplo, presieduta dall'inossidabile e potentissimo Giuseppe Guzzetti, la nuova perdita si aggiunge a quella denunciata nel bilancio 2015, pari a 38,7 milioni. Il suo patrimonio netto, perciò, è sceso a 6,820 miliardi di euro (6,851 al 31 dicembre 2015). Valore che, comunque, la conferma al primo posto tra le fondazioni italiane, ancora davanti alla Compagnia di San Paolo, il cui patrimonio netto è invece salito di un'ottantina di milioni a 5,880 miliardi.
Anche la Fondazione Crt, ora presieduta da Giovanni Quaglia, ha aumentato il suo patrimonio netto, risultato pari a 2,170 miliardi a fine 2016, una dozzina di milioni in più rispetto a un anno prima.
Il patrimonio netto è l'indicatore principale per determinare la graduatoria delle fondazioni di origine bancaria, mentre il totale delle attività finanziarie in portafoglio, al netto dei debiti, è rilevante per la valutazione delle capacità di erogazione delle fondazioni, molte delle quali svolgono un ruolo importante nei rispettivi territori di pertinenza, intervenendo in campi che vanno dal welfare alla ricerca scientifica, dalla salute pubblica all'arte e alla cultura, dall'istruzione allo sviluppo economico.
Al 31 dicembre 2016, il totale dell'attivo (lordo) della Fondazione Cariplo ammonta a 7,584 miliardi , a fronte dei 6,615 miliardi della Compagnia di San Paolo e i 2,760 della Fondazione Crt.
Quanto ai fondi accantonati specificatamente per il finanziamento degli stanziamenti istituzionali (erogazioni), il primato spetta alla Compagnia di San Paolo con 436,9 milioni, a fronte dei  413,4 della Fondazione Crt i 193,6 della Fondazione Cariplo, che a fine 2015 ne dichiarava per 333,1.  

La strage bancaria

Dalla "foresta pietrificata", come fu definito il sistema bancario italiano, un paio di decenni fa, da Giuliano Amato, alla grande deforestazione, preannunciata recentemente da Antonio Patuelli, il presidente dell'Abi, il quale ha profetizzato che, alla fine del 2017, nel nostro Paese si conteranno poco più di cento soggetti creditizi, tra gruppi e istituti indipendenti. A fronte del 604 attivi al 31 dicembre 2016 e ai 788 alla stessa data del 2009, quando risultavano aperti oltre 34.000 sportelli (5.000 in più rispetto a sette anni dopo) e i bancari erano ancora 330.512, cioè 31.000 più che all'inizio del 2017. Un taglio radicale.
Con tante banche sono destinati a sparire, nei prossimi mesi, altri sportelli e altri posti di lavoro, alle casse come nei back office. La ristrutturazione è epocale.
Diverse sono le cause di questo fenomeno, a partire dalla gravissima crisi economica incominciata a cavallo del 2007-2008 e non ancora finita, almeno nel nostro Paese. Fra l'altro, la redditività del settore, che dieci anni fa era pari al 10% del capitale, è scesa quasi a zero, quando non è finita sotto lo zero (naturalmente questa è la media, perché varie banche, big, medie e piccole, hanno chiuso bilanci in utile, a conferma che determinante non è la dimensione dell'impresa, ma la qualità della gestione). Sono cambiati i comportamenti della clientela, che sempre più utilizza la banca via Internet. Inoltre, è cresciuta considerevolmente la concorrenza di operatori diversi da quelli tradizionali.
Ad accelerare il drastico ridimensionamento della struttura bancaria nazionale, comunque, sono anche le autorità di vigilanza, monetarie e di regolamentazione, le cui direttive e i cui obblighi rendono progressivamente più difficile l'attività degli istituti creditizi. Dalle 14.200 norme specifiche vigenti nel 2011 si è saliti oltre 51.000. E nel solo primo semestre 2016, le banche italiane sono state chiamate a 630 nuovi adempimenti, cinque per ogni giorno feriale.
Non solo: le banche sono state e continuano a essere costrette a forti rafforzamenti patrimoniali, ingenti accantonamenti, aumenti di liquidità, riduzioni dei rischi e della leva finanziaria, per non parlare delle enormi svalutazioni dei crediti e del passaggio di una marea di esposizioni a sofferenze o incagli. Operazioni non sempre giustificabili e con conseguenze spesso gravemente dannose, non soltanto per gli azionisti e gli obbligazionisti, ma anche per i clienti - imprese e famiglie - che si vedono negare presti e mutui, finanziamenti per gli investimenti. A volte, se la forma prevale sulla sostanza, la burocrazia sul buon senso, gli effetti possono essere deleteri e persino economicamente fatali.
La "deforestazione", comunque, viene attuata con diverse modalità, che vanno dalle fusioni alle incorporazioni, alle acquisizioni, alle aggregazioni. Magari, i marchi, quellistorici in particolare, per un po' vengono mantenuti; ma le autonomie spariscono e con esse tante società. Prevalentemente nel comparto delle Bcc, le banche di credito cooperativo (334 al 31 dicembre 2016, già 31 meno rispetto alla stessa data del 2015), oltre che in quello delle Casse di risparmio.
Certo, la ristrutturazione del sistema bancario italiano è ineludibile, come è avvenuto altrove e in molti altri settori diversi dal creditizio; però, questo fenomeno è provocato anche dall'inadeguatezza e dall'incapacità di non pochi amministratori e manager, alcuni dei quali accusati di reati gravi. In ogni caso, sarebbe un errore credere che il futuro del settore sia soltanto dei colossi e delle banche grandi. Nell'industria bancaria, come in altri campi, non sono le economie ad assicurare redditività, competitività e sviluppo.
Tornado ai numeri, alla fine del 2016, nel  Nord Ovest avevano sede 34 banche, dotate di 3.281 sportelli, 107 meno che  a fine 2015. In particolare, il Piemonte aveva 29 banche -18 spa e 9 Bcc - e 2.364 sportelli (2.451 a fine 2015), la Liguria 4 banche e 822 sportelli (841 un anno prima), La Valle d'Aosta una banca (Bcc) e 95 sportelli, avendo registrato una sola chiusura nei 12 mesi precedenti.

Compagnia in cura dimagrante

All'assemblea di Intesa Sanpaolo (Isp), alla fine dell'aprile scorso, la Compagnia di San Paolo si è confermata maggiore azionista con il 9,198% del capitale ordinario (seconda è risultata la Fondazione Cariplo con il 4,836% e quarta la Fondazione Cariparo-Padova e Rovigo con il 3,242%, preceduta dalle Generali con il 3,4%, che però hanno poi preannunciato il proposito di vendere). Un anno prima, la Compagnia di San Paolo - presidente Francesco Profumo e segretario generale, dal 2001, Piero Gastaldo, classe 1954 - aveva il 9,34% delle azioni Isp.
Il peso della gloriosa fondazione torinese di corso Vittorio Emanuele è, dunque, un po' calato. Ma la quota resta molto superiore a quella che la Compagnia si è impegnata a detenere entro il 22 aprile del 2018, in rispetto del protocollo Acri-Mef. Infatti, l'intesa firmata un paio d'anni fa, impegna la Compagnia a far scendere il valore della sua partecipazione in Intesa Sanpaolo tanto da non rappresentare più del 33% del valore del suo attivo totale.
A fine 2016, il valore delle attività finanziarie della Compagnia di San Paolo ammontava a circa 6,8 miliardi di euro, per il 52,9% costituito dalla partecipazione in Intesa Sanpaolo (59,7% al 31 dicembre 2015). La differenza è ancora di una ventina di punti, corrispondenti a circa il 4% del capitale della banca presieduta da Gian Maria Gros-Pietro e guidata da Carlo Messina.
Se effettivamente la Compagnia scenderà al 5% o poco più di Intesa Sanpaolo, si troverà, sostanzialmente, nella stessa posizione della Fondazione Cariplo, che ha come indiscusso numero uno, fin dalle origini, Giuseppe Guzzetti, il quale è anche lo storico e indiscusso presidente dell'Acri, l'associazione nazionale delle fondazioni di origine bancaria. Compagnia e Cariplo, allora, si troverebbero più o meno alla pari, in Isp, sempre che la fondazione milanese non acquisti altre azioni Intesa Sanpaolo, come sarebbe possibile dato che il valore della partecipazione nella Banca è pari al 23,4% del totale dell'attivo al 31 dicembre 2016 (per la verità, però,potrebbe anche vendere, pur non avendo mai manifestato una simile intenzione, in considerazione, fra l'altro, dei ricchi dividendi già incassati e promessi).
Evitando di evidenziare i potenziali effetti della posizione paritetica delle due fondazioni nell'azionariato della Banca, va invece ricordato che la vendita delle azioni Isp farà incassare una montagna di soldi alla Compagnia di San Paolo, che a fine aprile 2017 aveva in portafoglio 1,4 miliardi di azioni della Banca. Al 5 maggio 2017 l'azione ordinaria Intesa Sanpaolo quotava poco meno di 3 euro, una cifra non lontana dai massimi degli ultimi cinque anni, raggiunti nell'estate del 2015, quando il titolo si aggirava sui 3,5 euro.
Anche la plusvalenza si preannuncia ricca: nel bilancio 2015, la Compagnia indicava in 2,27 euro il valore di carico dell'azione della sua banca conferitaria.


L'avanzata di Praxi

Inanella nuovi successi, il gruppo Praxi, che nel 2016 ha compiuto i suoi primi cinquant'anni di attività. Guidato dai componenti delle famiglie torinesi Crosetto e Andreoletti, il gruppo Praxi ha recentemente allungato la serie delle sue affermazioni: fra l'altro, la controllata Praxi Intellectual Property, che si occupa di brevetti e marchi ed è in pieno sviluppo, ha fatto un'acquisizione nel Nord Italia e ha anche aperto un ufficio a Trento; inoltre, la divisione Valutazioni e Perizie della società capogruppo e principale operativa ha ottenuto, nell'aprile appena passato, il suo ottantesimo incarico come esperto indipendente di fondi immobiliari, comparto nel quale può vantare una posizione da leader. Ad affidare il mandato numero 80 di Praxi è stata Investire Sgr, uno dei 27 player che si sono affidati finora all'impresa torinese.
Anche la divisione Valutazioni e Perizie è in forte crescita, favorita dalla totale oggettività garantita dall'autonomia da ogni soggetto industriale e finanziario: lo conferma pure la recente costituzione di Praxi Valuations - Global Indipendent Advisers, network internazionale con sede a Londra, che offre i servizi di valutazione e consulenza immobiliare a livello globale. Praxi Valuations affianca, nella capitale del Regno Unito, Praxi Alliance e Consalia.
Oltre che nei settori delle valutazioni-perizie e dei brevetti e marchi, il gruppo Praxi è attivo nella consulenza organizzativa, nell'informatica e nelle risorse umane, con specifiche divisioni. Praxi conta 250 dipendenti, di cui 40 dirigenti e ha dieci sedi in Italia, dove è molto apprezzata per i suoi servizi di eccellenza, nonché per la sua discrezione, tradizione sabauda. Proprio per questa caratteristica, Praxi ("Improving Performance" e il suo nuovo slogan) è ben conosciuta nei campi in cui opera, ma non altrettanto a livello generale, neppure nella sua regione, nonostante le sue dimensioni e i suoi valori.

Malacalza in guerra per Carige

Che fine farà la Carige, fino a qualche anno tra le prime dieci banche italiane e oggi con una misera capitalizzazione borsistica di circa 200 milioni di euro? E la Malacalza Investimenti, primo socio con il 17,58% delle azioni (secondo è Gabriele Volpi con il 6%) al prossimo aumento di capitale, previsto in 450 milioni, si limiterà a sottoscrivere pro quota o ne approfitterà per incrementare, a poco prezzo, la sua partecipazione, magari notevolmente? Domande destinate a restare senza risposta, almeno per un po', lasciando ancora in ambasce i numerosissimi piccoli azionisti, moltissimi dei quali hanno visto quasi azzerarsi il loro investimento nella banca che li aveva abituati a dividendi molto generosi.
Comunque, risulta che Vittorio Malacanza non intenda mollare. Per la Carige ha già sborsato oltre 200 milioni, che andrebbero in fumo, quasi totalmente, se abbandonasse la partita. E lui è uno che negli affari è sempre stato vincente, anche nelle uscite (vedi Camfin-Pirelli). Inoltre è un imprenditore con grandi risorse, molto legato a Genova, battagliero e tenace. Sa che poteri forti, anzi fortissimi, puntano a far perdere l'indipendenza a Carige, portandola a un'aggregazione o a una fusione. Bce e Banca d'Italia, marcano molto stretta la banca dei liguri e periodicamente avanzano richieste ponendo nuovi problemi.
Vittorio Malacalza, però, non si arrende; continua a combattere. E i piccoli azionisti non possono che essere dalla sua parte, come i dipendenti e chi crede nel valore delle banche che hanno a cuore le loro comunità di riferimento, avendone cura anche nei momenti di difficoltà. Da settimane, l'azione Carige quota su 25 centesimi, meno della metà di un anno fa e a fronte dei 6,7 euro di tre anni fa e gli 11 euro di inizio 2013, prima che scoppiasse lo scandalo.
Gli azionisti che tifano Malacalza, anche contro autorità di vigilanza, regolatori, analisti, commentatori e altri soggetti sulla cui obiettività è lecito dubitare, sono convinti che Carige e la sua azione ordinaria valgano ben di più del prezzo riconosciuto dal cosiddetto mercato, identificato nella Borsa, che - si sa - non è esente da volontà speculative né da manovre di pochi a scapito di tutti gli altri, compresa l'impresa oggetto.
Possibile che Carige valga così poco, praticamente nulla, nonostante il suo patrimonio, i suoi asset, fra i quali le partecipazioni nella Banca Cesare Ponti, in Creditis e nelle Casse di Risparmio di Savona, Carrara e Lucca? Nonostante le oltre 550 filiali in gran parte collocate in immobili di proprietà e nonostante il milione di clienti?

Slot, un rebus

In una nuova bozza di legge relativa al gioco d'azzardo in Italia è previsto che il numero delle slot machine autorizzate scenda da 407.323 (a fine 2016) a 264.674 entro il 31 dicembre di quest'anno. In particolare, in Piemonte dovrebbero diminuire da 28.746 a 19.099, in Liguria da 10.702 a 7.090 e in Valle d'Aosta da 798 a 524; quindi, nelle tre regioni del Nord Ovest, da 40.246 a 26.713. Il taglio sarebbe del 33,6%. Il condizionale, però, è quanto mai d'obbligo, perché in materia se ne sono già viste di tutti i colori. Propositi e promesse di ridurre il gioco d'azzardo si sprecano. Da ogni parte si dice che è ormai indispensabile intervenire, per arginare il fenomeno, diventato una marea travolgente e sempre più pericolosa. Tutti d'accordo, a parole; ma non nei fatti.
La realtà è diversa. Intanto, le slot legali in funzione nel nostro Paese sono aumentate di oltre 29.000 unità nel solo 2016, piazzate in 98.600 punti, tra bar e tabaccherie (69.000), sale bingo, corner e altri esercizi (29.600). Inoltre, lo stesso ministero dell'Economia e delle Finanze (Mef) ha appena comunicato che nei primi tre mesi di quest'anno, l'erario ha incassato dai giochi 3,5 miliardi di euro, ancora il 3,8% in più rispetto allo stesso periodo del 2016.
E' probabile, pertanto, che il 2017 si chiuda con un nuovo record di gettito di entrate derivanti dal gioco d'azzardo, che, l'anno scorso, nelle sue varie forme (Lotto e lotterie, gratta e vinci, slot e così via) ha fatto registrare giocate per 95,5 miliardi di euro e ha fatto incassare allo Stato oltre 12 miliardi netti. Una bella somma, alla quale è molto difficile rinunciare da parte di chi è fortemente vorace e costantemente bisognoso di tanti soldi, pochi dei quali, pochissimi, destinati agli investimenti pubblici, che pure sarebbero necessari.
La questione, comunque, non è semplice da risolvere. Non solo per l'entità del gettito che lo Stato ricava dai giochi. Fra l'altro, infatti, non si può non considerare che lo spazio lasciato libero dall'azzardo autorizzato e perciò tassato e controllato, sarebbe immediatamente occupato dal gioco illegale, gestito dalla criminalità organizzata che da esso trae profitti e nuove risorse per finanziarsi ed espandere le sue attività. I danni, per lo Stato, sarebbero molteplici e gravissimi.


Venesio all'avanguardia

Sempre attento e all'avanguardia, Camillo Venesio, amministratore delegato e direttore generale della Banca del Piemonte da 34 anni. Un'ulteriore conferma della cura con cui Camillo Venesio guida l'istituto creditizio, che appartiene interamente alla sua famiglia, si trova nel lancio di una gamma di Pir (Piani individuali di risparmio) subito dopo che questi nuovi strumenti finanziari hanno avuto il via libera per essere offerti alla clientela. Banca del Piemonte ha già reso disponibili quattro Pir: due bilanciati, uno azionario puro e uno flessibile; tutti scelti tra i migliori sul mercato, come può fare una banca totalmente indipendente qual è quella pilotata da Camillo Venesio, fra l'altro vice presidente dell'Abi, l'associazione nazionale delle banche.
I Pir sono stati introdotti con la Legge di Bilancio 2017, con il duplice obiettivo di incentivare, grazie ai benefici fiscali correlati, gli investimenti delle persone fisiche nelle piccole e medie imprese italiane e di contribuire così al loro sviluppo, fondamentale per l'economia nazionale. I Pir, che per essere qualificati tali, devono avere come sottostante almeno il 70% di strumenti finanziari, quali azioni e obbligazioni, di società italiane e di questo 70% almeno il 30% in titoli non inseriti nell'indice Ftse Mib di Piazza Affari - quello che raggruppa le principali società quotate in Borsa, devono essere tenuti dai sottoscrittori per almeno cinque anni, se non si vogliono perdere i benefici fiscali: l'esenzione dalla tassazione sui redditi generati e l'esenzione dall'imposta di successione degli strumenti finanziai contenuti nei Pir.
I Pir presentano anche altri vantaggi: fra l'altro, consentono ai loro titolari di beneficiare di investimenti in strumenti finanziari altrimenti inaccessibili in modo diretto a una persona singola, a causa della loro elevata soglia minima di entrata o esclusi, nonostante le elevate potenzialità, perché sconosciuti al piccole risparmiatore; inoltre, favoriscono la pianificazione finanziaria di medio-lungo termine e la diversificazione del portafoglio patrimoniale.
La Banca del Piemonte, le cui origini torinesi risalgono al 1912, ha una cinquantina di sportelli, tutti in regione tranne uno, a Milano; conta oltre 70.000 clienti e circa 450 dipendenti. Ha una raccolta, comprensiva di amministrato e gestito, pari a 3,65 miliardi di euro. Vanta come valori tradizionali la solidità (Cet1 tra i più elevati a livello nazionale ed europeo), la sana prudenza, la competenza e l'efficienza, la visione di lungo periodo, la costante vicinanza al cliente e la propensione all'innovazione. Del Consiglio di amministrazione fanno parte anche i due figli di Camillo Venesio, Carla e Matteo, i quali svolgono anche ruoli operativi di primo piano.

Nuovo record di Buzzi

Venerdì 5 maggio 2017. Data da ricordare per Buzzi Unicem, il grande gruppo cementiero piemontese, supera, per la prima volta, i 4 miliardi di capitalizzazione con le sole azioni ordinarie, che quel giorno sfiorano il valore unitario di 25 euro, superiore di oltre il 50% rispetto a un anno prima e nuovo record storico  Un altro successo per l'impresa presieduta da Enrico Buzzi dal maggio 2014, quando gli ha ceduto il posto di numero 1 il fratello Sandro, classe 1933, eletto allora presidente d'onore, per i suoi meriti. Di cinque anni più giovane - è nato nel 1938, a Casale Monferrato, sede dell'omonimo gruppo, ma risiede a Moncalieri - Enrico Buzzi, laureato in Ingegneria civile al Politecnico di Torino, tre figli, amante della musica, dell'arte e della vela, alla presidenza è stato chiamato dopo la lunga e intensa esperienza lavorativa nell'impresa di famiglia, con incarichi e responsabilità sempre più rilevanti, in Italia e all'estero (Messico e Germania, in particolare).
Fondato 110 anni fa, dai fratelli Pietro e Antonio Buzzi, il Gruppo di Casale è attivo in varie parti del mondo; ha oltre 30 stabilimenti tra Italia, Germania, Olanda, Lussemburgo, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ucraina, Russia, Usa, Messico, Algeria e conta quasi 10.000 dipendenti. Nel 2016 ha venduto 25,6 milioni di tonnellate di cemento più 11,9 milioni di metri cubi di calcestruzzo, fatturando poco meno di 2,7 miliardi di euro e migliorando ancora la redditività. A livello consolidato, il risultato operativo è ammontato a 348 milioni di euro e l'utile netto è cresciuto del 16,1% a 148,7 milioni, così che ai soci va un dividendo di 10 centesimi per azione. A beneficiarne, per prima, è l'estesa famiglia dei Buzzi, che si divide il 58% del capitale della capogruppo e che ha altri tre Buzzi sulla tolda di comando: Michele e Pietro, amministratori delegati, e Veronica, vice presidente. Del Consiglio di amministrazione, inoltre, fanno parte anche l'avvocato Marco Weigmann, l'ex ministro Elsa Fornero e il banchiere biellese Maurizio Sella.

Sole senza Grandi

Il Sole 24 Ore perde un sacco di soldi, copie e anche "firme" storiche. Dalla fine di aprile, nelle pagine del quotidiano della Confindustria (fino a quando?) non si trovano più articoli di Augusto Grandi, da tempo corrispondente dal Piemonte e dalla Valle d'Aosta e consolidato punto di riferimento per le imprese di queste due regioni. Per Augusto Grandi e per altri giornalisti della vecchia guardia del Sole è scattato il prepensionamento, provocato dalla grave crisi del gruppo editoriale milanese. Però, Grandi, nato sotto la Mole 61 anni fa e entrato nella redazione torinese del Sole 24 Ore nel 1987, continua a scrivere: è autore prolifico di libri (romanzi, saggi, racconti, pamphlet), per alcuni dei quali ha ricevuto premi prestigiosi; oltre che di articoli e commenti, pepati, leggibili sul blog "girano". Inoltre, Grandi è già stato chiamato da una radio locale e da un periodico economico nazionale, ai fini di sue collaborazioni.
Amante della montagna, in particolare quella valdostana, oltre che della buona cucina e dei buoni vini, Augusto Grandi, due figli, giocatore "duro" di calcetto, appassionato di politica interna ed estera e di storia, è anche senior fellow del Centro studi Nodo di Gordio.  

Imprenditorialità in calo

Imprenditorialità in calo, nel Nord Ovest più che nella media italiana. Nel primo trimestre 2017, le Camere di commercio hanno registrato 115.739 iscrizioni di nuove imprese ma ne hanno cancellate 131.345, per cessazione dell'attività. Dall'inizio di gennaio alla fine di marzo, perciò, la struttura imprenditoriale del nostro Paese si è impoverita di oltre 15.000 aziende, numero superiore a quello del primo trimestre 2016 (12.681). Il nuovo saldo negativo si aggiunge a quelli dei dodici anni precedenti. Certamente è una conseguenza della gravissima e lunga crisi economica, incominciata nel 2007-2008, ma è anche una evidente crisi della vocazione imprenditoriale nazionale, dell'affievolimento dello spirito d'iniziativa economica degli italiani.
Comunque, la prima parte del 2017 si è chiusa con un tasso d'imprenditorialità negativo per lo 0,26% relativamente all'intero Paese. Ancora più negativi negativi della media nazionale, però, sono risultati i tassi di tutte le province del Piemonte e della Liguria, con l'eccezione de La Spezia (-0,10%). Torino ha fatto segnare -0,54%. Peggio è andata nelle province di Asti (-0,55%), Genova (-0,58%), Cuneo (-0,69%), Vercelli (-0,74%), Alessandria (-0,77%) e Biella (-0,80%), Un po' meglio della provincia con il capoluogo piemontese, invece, sono i dati riguardanti Novara (-0,48%), Verbania (-0,44%), Savona (-0,39%) e Imperia (-0,35%).
Oltre alla congiuntura fortemente sfavorevole, a causare il calo dell'imprenditorialità sono diversi fattori, fra i quali spiccano l'eccesso di burocrazia, di norme e di ostacoli di vario genere, l'incertezza del diritto, l'esosità fiscale, la concorrenza sleale, le lungaggini imposte, politiche più penalizzanti che incentivanti, la scarsa fiducia nel futuro del Paese.
 

Il boom di Reply

L'azione della torinese Reply, che cinque anni fa in Borsa valeva 14 euro, ai primi di maggio ne valeva 160, dopo essere arrivata a sfiorare i 162 euro, nuovo record storico. La corsa al rialzo di questo titolo sembra non avere mai fine. Come lo sviluppo dell'impresa fondata nel 1996 da Mario Rizzante, che continua ad averne la maggioranza assoluta (poco meno del 53% del capitale) e a guidarla, insieme con la figlia Tatiana, la quale ne è amministratore delegato, come il padre, che è pure presidente (fra i consiglieri di amministrazione, inoltre, spicca pure il figlio Filippo).
Reply, gruppo specializzato nella progettazione, implementazione e manutenzione di soluzioni basate su internet e sulle reti social, oltre 5.000 dipendenti impegnati in decine di società, nel 2016 ha fatturato 780,7 milioni di euro (+10,6% sul 2015) e ha conseguito un utile netto di 67,5 milioni (+19%), tale da consentire un dividendo di 1,15 per azione. Reply è un'eccellenza dell'intera Italia e un caso di studio per il suo straordinario successo internazionale, per di più in un campo così avanzato tecnologicamente,

Biella e Novara ai lombardi

Lombardi alla conquista dell'editoria locale piemontese. L'Eco di Biella e il Corriere di Novara, storiche testate subalpine, passano a DMedia Group, impresa di Merate (Lecco) che in regione dispone già di dieci giornali, con una diffusione media di oltre 100.000 copie alla settimana. DMedia Group, quotata a Piazza Affari e presieduta da Mario Farina, che ne ha il controllo, ha rilevato il 60% della Sgp, la quale pubblica appunto l'Eco di Biella e il Corriere di Novara, trisettimanali leader nelle rispettive province con circa 20.000 copie per edizione. A vendere, per 480.000 euro, sono state l'Unione Industriale Biellese e l'Associazione Industriali di Novara, che restano socie paritetiche con il 40% della Sgp.
DMedia Group distribuisce complessivamente 58 testate, con una diffusione setttimanale di oltre 590.000 mila copie e 3 milioni di lettori, in sei regioni. Conta 43 redazioni e circa 600 giornalisti Oltre che in Piemonte, dove Piera Savio è direttore editoriale e responsabile di diverse testate, DMedia Group ha giornali in Liguria (La Riviera e Il Nuovo Levante) e in Valle d'Aosta (La Vallée Notizie).

Giugiaro & Fassino

Gfg style e Cover50, società entrambe torinesi, hanno avviato una collaborazione che pare destinata ad avere sviluppi interessanti. Gfg style è la nuova impresa di Giorgetto Giugiaro e di suo figlio Fabrizio, designer subalpini di fama mondiale. Cover50 è l'azienda con il marchio PT pantaloni torino, quotata alla Borsa di Milano nel segmento Aim.
Cover50 ha collaborato all'allestimento degli interni della supercar elettrica Tech Rules, presentata dai Giugiaro al Salone dell'Automobile di Ginevra, nel marzo scorso; mentre è del mese successivo l'annuncio che la Gfg style (acronimo di Giorgetto e Fabrizio Giugiaro) collaborerà alla realizzazione della linea high-tech K[UL]T di pantaloni di alta gamma che sarà lanciata da Cover50 insieme ad altri nuovi modelli.
Cover50, che ha festeggiato il suo decimo anniversario al Pitti Uomo del gennaio di quest'anno con la partecipazione di Alessio Carbone, étoile dell'Opera di Parigi, vende i suoi pantaloni in una quarantina di Paesi e nel 2016 ha fatturato 25,2 milioni di euro, con un utile netto di circa 4, pari al 15,8% dei ricavi. E' guidata da Pierangelo Fassino, presidente e amministratore delegato, insieme con il figlio Albefrto Edoardo, anche lui ad. Completa il consiglio di amministratore il commercialista Aldo Milanese. La società, controllata dalla famiglia Fassino, che l'ha fondata, quest'anno distribuisce agli azionisti un dividendo complessivo di 2,2 milioni di euro.